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sulla Cannabis

Una raccolta di link sul tema Cannabis, antiproibizionismo, referendum, medica, coltivazione e molto altro

La valanga di fake news che la destra ha detto sulla Cannabis in Parlamento

Un solo pomeriggio di discussione è stato sufficiente per fare un elenco completo di tutte le fake news che circolano sulla cannabis. Aula di Montecitorio, dal 29 giugno si discute la proposta di legge per consentire la coltivazione domestica di cannabis, per uso personale e la diminuzione delle pene per i reati di lieve entità: destra ed estrema destra contrarie al provvedimento, sfilano in aula con una serie di interventi che alimentano leggende metropolitane e credenze ampiamente superate dalla scienza e dagli studi degli ultimi anni. C’è anche confusione sull’argomento stesso del ddl: molti parlano di liberalizzazione, ma il tema è la legalizzazione (e depenalizzazione). Cannabis droga di passaggio Una delle leggende più dure a morire è quella sulla cannabis droga di passaggio. In pratica fumare una canna sarebbe l’anticamera dell'utilizzo di droghe pesanti come cocaina ed eroina. Ciro Maschio, parlamentare di Fratelli d’Italia, parla di “primo step”. È il ragionamento per cui visto che “oltre il 90 per cento delle persone tossicodipendenti da eroina hanno iniziato con la cannabis”, la cannabis sarebbe la causa. Ma perché non un bicchiere di vino o una sigaretta? Questa tesi non ha alcun riscontro, basterebbe pensare che ci sono circa sei milioni di consumatori di cannabis (stime al ribasso), a cui vanno aggiunti quanti la provano e smettono: dovremmo quindi avere una presenza di tossicomani da eroina in milioni. Dire che “tutti” gli eroinomani hanno fumato cannabis è una correlazione spuria, cioè due eventi sconnessi che avendo lo stesso trend (in realtà l’uso di eroina è in costante diminuzione, mentre quello di cannabis in aumento) si associano. Si potrebbe fare lo stesso ragionamento con le sigarette o con l’alcool. E c’è chi si lascia andare a dati senza citare fonti, come Luca Paolini, Lega: «Se si drogano in 100 in modo leggero, probabilmente, saranno in 20 a passare alle droghe pesanti. Se sono 1000, saranno 200. È statistica non è un’opinione più o meno vaga», il quale ha citato anche la cannabis allo 0,2% di thc non sapendo che è già legale in Italia, la cosiddetta “cannabis light”. La “cannabis geneticamente modificata” C’è anche un’altra credenza che ha le gambe lunghe, tanto da guadagnarsi una pagina su Wikipedia, è quella della “cannabis geneticamente modificata”. In pratica la cannabis presente sul mercato è modificata e altamente tossica, coltivata con tecniche violente, arriva a un principio attivo di thc anche del 55%, molto più forte di quella di un tempo che invece non andava oltre il 5% di concentrazione. Questa supposizione senza fondamento si chiama teoria del 16%, nata tra gli anni ottanta e novanta, ha diffuso i concetti di "supermarijuana", "marijuana OGM" o “modificata geneticamente”. Una teoria finta perché non abbiamo analisi sulla percentuale di thc della cannabis non moderna. Questo non sembra interessare però i parlamentari che si lasciano andare a tesi un po’ strampalate: «La cannabis geneticamente modificata va da 0 a 15 capacità produttiva di thc, quindi quattro piante modificate possono produrre l’equivalente di 40 o 60 piante naturali non modificate», spiega Paolini, avvocato, che dice anche di aver «avuto a che fare con piante di cannabis, non come consumatore, ma come difensore». Cannabis, la droga più pericolosa Il sottotesto dietro a molti interventi è quello per cui la cannabis non andrebbe legalizzata perché fa male. Nessuno, però, tra i contrari si sofferma sulle droghe attualmente legali - assai più pericolose e tossiche della cannabis - e rese tali proprio per avere un maggiore controllo qualitativo su esse. Candidamente Roberto Bagnasco, Forza Italia, non si accorge che proprio una delle sue argomentazioni spinge in questa direzione: «Alcool e tabacco sono soggetti a limiti di età, ma l’effetto nocivo avviene per dosi progressivamente crescenti di alcool e in un tempo molto più lungo». Il pregio dell’alcool sarebbe quindi che uccide lentamente? E aggiunge: «Lo smaltimento fisico di una canna è molto più lento, dura dai quindici ai venti giorni rispetto a una sbronza, tanto per capirci bene», facendo confusione sul persistere nel sangue della sostanza del principio attivo ed effetto. Bagnasco tra l’altro è farmacista e dimentica che in Italia le terapie a base di cannabinoidi sono difficili da ottenere non per la mancanza di medicinali, ma perché i medici, mossi dallo stigma verso la pianta, non la prescrivono facilmente. Nonostante una legge che da 15 anni riconosce la cannabis terapeutica, quella sì al 22% di thc, ai pazienti, al momento il 71 per cento di essi deve interrompere la terapia, come denuncia l’associazione Pazienti cannabis. Dipendenza e pericolosità «Le sostanze psicotrope cosiddette leggere provocano gravi danni alla salute, dipendenza fisica e psicologica pari e superiore su alcuni elementi del fumo delle sigarette normali o dell’alcool», dice ancora Maschio, affermando una falsità visto che nel 2020 la Commissione delle Nazioni Unite sugli Stupefacenti ha votato una serie di misure proposte dall'Organizzazione mondiale della sanità sulla riforma internazionale della cannabis: la più importante di queste è la cannabis è stata declassificata come sostanza non pericolosa, prima messa accanto a cocaina ed eroina, e il suo uso medico è riconosciuto in sempre più patologie. Sulla dipendenza da cannabis poi (calcolata tra il 4-9%) ci sarebbe tanto da dire. Banalmente altre sostanze legali e ampiamente accettate dalla società, hanno un tasso di dipendenza molto più alto di quello della cannabis, per cui è il tabacco ha giocare un ruolo chiave visto che lo si utilizza per assumerla. Caffé - che è una droga visto che la caffeina è una sostanza psicoattiva - o zuccheri per esempio, ma anche energy drink o coca cola. Questi ragionamenti proibizionisti se fossero applicati all’alcool, droga assai più pericolosa, porterebbero presto alla sua proibizione, a danno dei consumatori e a favore del mercato nero. Le legalizzazione non combatte le mafie Che la legalizzazione della cannabis possa aiutare la guerra contro le mafie è una certezza che arriva da vari richiami della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, che già nel 2016 ha espresso parere positivo su tutte le leggi per legalizzazione e coltivazione domestica, anche per liberare le numerose forze dell’ordine impegnate nella guerra alla cannabis (la cannabis da sola rappresenta quasi il 50% di tutti i sequestri annuali di stupefacenti, per un valore di 7 miliardi su 16 totali). Gianni Tonelli, Lega, però dice di non aver mai sentito l’ex procuratore Cafiero de Raho su questo. Eppure l’ultimo intervento, in ordine di tempo, del magistrato è avvenuto sulle pagine di Repubblica il 30 giugno: «Le tonnellate di droga sequestrate dimostrano l'interesse delle mafie verso questa sostanza. Resto contrario a qualsiasi autorizzazione al consumo illimitato di stupefacenti, ma ben venga questa legge, se può contribuire a tenere lontani tanti giovani da spacciatori senza scrupoli, impoverendo così le organizzazioni criminali e consentendo, alle forze dell'ordine di concentrare sforzi e risorse sui grandi traffici», ha detto de Raho. In compenso però Tonelli fa uno strano parallelismo con la cicala e la formica, per cui legalizzare renderebbe i giovani come le cicale della fiaba: senza speranze e dediti alla «cultura dello sballo e del carpe diem».

Le tossiche politiche sulle droghe. Cannabis e referendum, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 51/2022

Le tossiche politiche sulle droghe. Cannabis e referendum, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 51/2022 Nel report Prison and drugs in Europe del 2021 pubblicato dall’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction, si ribadisce che in Europa vi sono circa 850.000 persone detenute di cui il 18% è reclusa per uso o possesso di droghe, ma vi sono anche persone in carcere per reati commessi in relazione all’uso di sostanze (ad esempio i delitti contro il patrimonio, dovuti alla dipendenza). Inoltre, emerge come l’Italia mantenga il primato di persone detenute per violazione della normativa in materia di stupefacenti, con il 30% circa di popolazione detenuta per la violazione del Testo unico in materia di stupefacenti (DPR 309/1990). Principalmente la sostanza più utilizzata e punita è la cannabis, seguita dalla cocaina. Nel XII Libro Bianco sulle droghe i dati presenti illustrano come la war on drugs, in atto da 60 anni, sia stata un fallimento totale per la politica criminale, sociale, economica, di salute pubblica. La mera repressione produce solo carcerazione e fa crescere il prezzo al dettaglio delle sostanze. Secondo la Relazione al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze 2021 (su dati del 2020) le operazioni di Polizia finalizzate al contrasto della cannabis sono state 12.066 con sequestri di kg 19.868,69 per la marijuana e di kg 58.827,66 per tutte le sostanze. Sono state sequestrate 414.396 piante di cannabis. I Tribunali accusano gli effetti della legislazione antidroga che solo nel 2020 ha prodotto 92.875 procedimenti penali per la sola violazione dell’art 73 Testo Unico. Sono state coinvolte 189.707 persone tra uomini e donne. Sono invece 45.467 le persone che rispondono ex art 74 D.P.R.309/90 (associazione finalizzata al traffico) con un numero pari a 4.681 procedimenti penali l’anno. L’enorme mole di procedimenti giudiziari pesa come un macigno sul comparto della giustizia e, in generale, sull’organizzazione degli uffici dei Tribunali producendo tempi di fissazione delle udienze lunghi e dilatori: solo il 46% dei procedimenti si trova in primo grado del giudizio, il 13% in secondo grado e l’1,0% in Cassazione. Nel 2020 il 29% dei soggetti condannati con sentenza definitiva era recidivo. Le denunce ex art. 73 D.P.R.309/90 sono state 28.889, di cui 13.586 solo per cannabis mentre quelle per art. 74 D.P.R.309/90 sono state 3.372. Gli arresti 20.641 mentre dalla libertà sono state denunciate 10.414 persone di cui 10.192 stranieri. L’età media dei soggetti denunciati si attesta tra i 20 /24 anni. In questo quadro si è inserito il referendum di iniziativa popolare promosso da “cannabislegale”1), il quale aveva posto il quesito denominato “Abrogazione parziale di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope”, investendo tre disposizioni del d.P.R. 309/90. L’intento dei promotori era quello di rimuovere la coltivazione fra le condotte vietate. La Corte con la sentenza di inammissibilità n. 51 del 2 marzo 2022 ha rilevato come: i proponenti non abbiano inteso incidere sul primo comma dell’art. 26 del testo unico, rimuovendo il divieto assoluto della coltivazione della cannabis. Tale divieto rimanda, al successivo articolo 28, alle sanzioni previste dalla legge, specificatamente indicando, quanto al profilo sanzionatorio, la fattispecie della fabbricazione (prevista dall’art. 73 comma 1, altra rispetto alla coltivazione, pur presente). Il mantenimento di tali disposizioni e dell’art. 27 permetterebbe quindi di tener fermo il divieto di coltivazione al di fuori delle autorizzazioni, ma limitato ad una condotta volta alla fabbricazione. L’impianto così descritto, nell’interpretazione dei proponenti, escluderebbe dall’area della punibilità la coltivazione casalinga c.d. “rudimentale” della pianta per l’infiorescenza di cannabis (che, in quanto tale, non richiede alcuna procedura particolare che possa essere definita lavorazione in senso stretto) e manterrebbe invece punibile la produzione massiva – che per dimensioni e lavorazioni necessarie integrerebbe una condotta di fabbricazione o produzione – sia di cannabis e dei suoi derivati (hashish e concentrati in genere) che di papavero da oppio e pianta di coca, che necessitano di lavorazioni particolari per la trasformazione rispettivamente in eroina e cocaina, ossia in quelle sostanze poi immesse effettivamente sul mercato. Con il ritaglio abrogativo descritto si darebbe peraltro recepimento alla sentenza a Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione n. 12348/2020 (ud. 19 dicembre 2019, Presidente Carcano – Relatore Andronio), che ha ritenuto non punibile questo tipo di coltivazione, rudimentale e a fini di uso personale.

In base a ciò la nozione giuridica di coltivazione deve ora essere circoscritta, per dare spazio alla distinzione tra coltivazione “tecnico-agraria” e coltivazione “domestica” e non può essere, in particolare, condivisa, sul punto, l’affermazione (contenuta, ad esempio, nella richiamata sentenza n. 17983 del 2007), secondo cui la coltivazione domestica è riconducibile alla nozione di detenzione, la quale è penalmente irrilevante se finalizzata al consumo personale. In tal senso, la stessa sentenza Di Salvia del 2008, nel sottolineare la distinzione ontologica fra coltivazione e detenzione, afferma che la coltivazione, a differenza della detenzione, è attività suscettibile di creare nuove e non predeterminabili disponibilità di stupefacenti, ma tale affermazione non si attaglia alle coltivazioni domestiche di minime dimensioni, intraprese con l’intento di soddisfare esigenze di consumo personale, perché queste hanno, per definizione, una produttività ridottissima e, dunque, insuscettibile di aumentare in modo significativo la provvista di stupefacenti. Si tratta, però, di un parametro che, per poter operare con sufficiente certezza, deve essere ancorato a presupposti oggettivi – in parte già individuati dalla giurisprudenza (ex plurimis, Sez. 3, n. 21120 del 31/01/2013, Colamartino, Rv. 255427; Sez. 6, n. 6753 del 09/01/2014, M., Rv. 258998; Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014, Piredda, Rv. 260170 e Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168) – che devono essere tutti compresenti, quali: la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non in forma industriale, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti, l’oggettiva destinazione di quanto prodotto all’uso personale esclusivo del coltivatore. Secondo le Sezioni Unite:
In conclusione, potranno rilevare, al fine di escludere la punibilità: a) un’attuale inadeguata modalità di coltivazione da cui possa evincersi che la pianta non sarà in grado di realizzare il prodotto finale; b) un eventuale risultato finale della coltivazione che non consenta di ritenere il raccolto conforme al normale tipo botanico, ovvero abbia un contenuto in principio attivo troppo povero per la utile destinazione all’uso quale droga (Sez. 6, n. 22459 del 15/03/2013, Cangemi, Rv. 255732). Questa soluzione – lo si ribadisce – ha il duplice merito di rispettare l’autonomia concettuale della coltivazione rispetto alla detenzione (nel senso che può ontologicamente aversi coltivazione senza detenzione, cioè senza produzione in atto di sostanza stupefacente), e di venire incontro all’esigenza, che appartiene alla sfera della logica ancor prima che a quella della politica criminale, di evitare che l’effettiva sussistenza del reato dipenda dal dato, puramente contingente, rappresentato dal momento dell’accertamento. Diversamente opinando, del resto, potrebbero essere ritenute penalmente irrilevanti coltivazioni industriali, anche di larghe dimensioni e potenzialmente molto produttive, per il solo fatto di trovarsi in un arretrato stadio di sviluppo (come ben evidenziato nella citata sentenza Sez. 3, n. 21120 del 31/01/2013, Colamartino)2).

Vi è, dunque, una graduazione della risposta punitiva rispetto all’attività di coltivazione di piante stupefacenti, nelle sue diverse accezioni: devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo – alle condizioni sopra elencate – per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto; la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990; alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l’art. 131-bis c.p., qualora sussistano i presupposti per ritenerne la particolare tenuità, nonché, in via gradata, l’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto.
La richiesta del referendum popolare abrogativo era sul seguente quesito:
Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 1, limitatamente all’inciso «coltiva»; Articolo 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 4, limitatamente alle parole «la reclusione da due a sei anni e»; Articolo 75 (Condotte integranti illeciti amministrativi), comma 1, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre mesi. I promotori, in particolare, sostenevano, con riferimento alla prima parte del quesito, che l’unico frammento di impunità che vi è ritagliato attiene esclusivamente alla coltivazione rudimentale finalizzata all’immediato uso personale, restando preclusa, dalla normativa di risulta, la possibilità di detenzione e successiva cessione della sostanza, con ciò rispettando altresì le Convenzioni in materia. Con riferimento, poi, alla seconda parte del quesito, la proposta referendaria mirava all’eliminazione delle sole pene detentive (da due a sei anni), tenendo ferma la multa da euro 5.164 a 77.468. Quanto, infine, alla terza parte, si richiedeva di espungere dall’art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti la sola lettera a), al fine di eliminare una sanzione che ha natura particolarmente afflittiva e che senz’altro, sostiene il Comitato, incide considerevolmente sui diritti fondamentali della persona, quali la libertà di circolazione e financo il diritto al lavoro che spesso viene ingiustamente inciso in occasione della comminazione della sospensione della patente di guida

Nella memoria nell’interesse dell’Associazione Antigone e Cild è stato precisato che “I temi sottesi ai quesiti referendari sono stati al centro della VI Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze promossa e presieduta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e svoltasi il 27 e 28 novembre 2021 a Genova. Nel documento finale della Conferenza si prende atto del fallimento della c.d. war on drugs e, di contro, si auspica un minor ricorso alle pene detentive soprattutto per le condotte – qual è la coltivazione domestica per uso personale – di minor offensività». In particolare, si legge nel documento finale:
La prima causa del sovraffollamento penitenziario è la recidiva nel reato. Se ne deduce il fallimento della pena detentiva, così come configurata nelle attuali prassi, nell’assolvere la funzione riabilitativa. L’idea che la detenzione possa rappresentare lo stimolo al cambiamento si svuota di significato se l’esperienza del carcere comporta ulteriori conseguenze negative per la ridotta disponibilità trattamentale, soprattutto se il sovraffollamento carcerario priva il detenuto non solo della sua libertà, ma anche di altri diritti. La riduzione delle fattispecie incriminatorie, in combinazione con un più esteso e qualificato ricorso alle misure alternative alla detenzione, produrrebbero un’elevata deflazione del circuito carcerario. Rispetto alla riforma del DPR 309/90, e in particolare all’art.73, il Tavolo Tecnico propone di: 1) sottrarre all’azione penale alcune condotte illecite contemplate nelle 22 fattispecie dell’art.73, commi 1 e 1bis, come la coltivazione di cannabis a scopo domestico e la cessione di modeste quantità per uso di gruppo, e introdurre la “finalità del profitto” per tutte le condotte tipizzate.

Dunque, i quesiti referendari, in perfetta sintonia con gli esiti della Conferenza sopra riportati, tendevano a mitigare le sanzioni previste per la coltivazione domestica di cannabis destinata all’uso personale.
Tale mitigazione del trattamento sanzionatorio diminuirebbe i costi sociali del sovraffolamento penitenziario, stante il grande impatto che hanno i reati a vario titolo legati agli stupefacenti sulle presenze in carcere. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Antigone, al 30 giugno 2021, quando le presenze complessive in carcere si attestavano a 53.637, i detenuti per violazione del Testo Unico sulle droghe erano 19.260 (il 15,1% sul totale delle imputazioni). Nel corso del 2020 sono stati 10.852 i detenuti in ingresso negli istituti penitenziari per questo reato, il 30,8% sul totale. Nel 2020 il 38,6% delle persone che sono entrate negli istituti penitenziari era tossicodipendente. Nel 2005 erano il 28,41%.

Per analizzare nello specifico l’impatto delle carcerazioni per coltivazione domestica, a fronte dell’assenza di statistiche relative alle condanne per la coltivazione di cannabis, può farsi riferimento alla centralità dei cannabinoidi nella nella c.d. war on drugs: dai dati annuali rilasciati dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga riguardanti numero di operazioni e chilogrammi sequestrati, emerge che nell’arco di quindici anni, dal 2004 al 2018, sono state condotte 320.643 operazioni antidroga; di queste, 171.034 hanno riguardato la cannabis (il 53,3%), per un totale di 850 tonnellate di cannabis sequestrate, contro meno di 66 tonnellate di cocaina e 17 di eroina3).
La Corte Costituzionale, glissando su questi aspetti legati alle politiche proibizioniste, non è entrata nel merito, ma si è limitata ad osservare quelli tecnico/giuridici legati ai quesiti referendari.
In premessa, il Giudice delle leggi ha ricordato le precedenti iniziative referendarie in materia.
La prima perseguiva lo scopo di liberalizzare la coltivazione, il commercio, la detenzione, l’uso della canapa indiana e dei suoi derivati (hashish e marijuana). Questa Corte (sentenza n. 30 del 1981) aveva dichiarato inammissibile il referendum perché esso – avendo ad oggetto la Tabella II (allora prevista dall’art. 12 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, recante «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza») e, con riferimento al divieto assoluto di coltivazione, l’inciso «di piante di canapa indiana» di cui all’art. 26 della legge ora citata – si poneva in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia in materia di disciplina della canapa indiana e dei suoi derivati, dovendo ritenersi preclusi i referendum che investano non soltanto le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, ma anche quelle strettamente collegate all’esecuzione dei trattati medesimi.
Una seconda iniziativa referendaria – avente ad oggetto varie disposizioni del d.P.R. n. 309 del 1990, e la cui finalità, secondo la Corte, era quella «di rendere lecite e, quindi, prive di sanzione, le attività preliminari e connesse all’uso personale della canapa indiana e dei suoi derivati, quali hashish e marijuana» – è stata anch’essa dichiarata inammissibile con sentenza n. 27 del 1997 in ragione, parimenti, dei vincoli derivanti dalle Convenzioni internazionali. Dall’abrogazione delle disposizioni oggetto del quesito referendario sarebbe derivata infatti l’esposizione dello Stato italiano a responsabilità nei confronti delle altre parti contraenti a causa della violazione degli impegni assunti in sede internazionale. Invece, è stato dichiarato ammissibile il referendum che concerneva l’uso personale di sostanze stupefacenti, anche in dose superiore a quella media giornaliera, e che mirava alla depenalizzazione dell’importazione, dell’acquisto e della detenzione limitatamente a tale uso, lasciando sussistere le sanzioni amministrative, sicché esso non si poneva in contrasto con gli obblighi internazionali assunti in materia dallo Stato italiano (sentenza n. 28 del 1993).

Il quadro degli obblighi internazionali rilevanti è definito dalla Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e dal relativo Protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972, entrambi ratificati e resi esecutivi in Italia per effetto della legge 5 giugno 1974, n. 412; dalla Convenzione sulle sostanze psicotrope di Vienna del 21 febbraio 1971; dalla Convenzione delle Nazioni Unite, adottata a Vienna il 20 dicembre 1988, contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, ratificata e resa esecutiva in Italia per effetto della legge 5 novembre 1990, n. 328.
Rileva poi la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, la quale ha indicato anche la coltivazione della cannabis tra le condotte per le quali i singoli Stati devono applicare sanzioni penali. La direttiva (UE) 2017/2103 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017 ha modificato la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, al fine di includere nuove sostanze psicoattive nella definizione di «stupefacenti».
Pertanto, il Giudice delle leggi ha osservato che:
Non vi è quindi dubbio che, alla stregua delle Convenzioni internazionali di Vienna e di New York, nonché della richiamata normativa europea, la canapa indiana e i suoi derivati rientrano tra le sostanze stupefacenti, la cui coltivazione e detenzione deve essere qualificata come reato e che solo la loro destinazione al consumo personale rende possibile l’adozione delle misure amministrative riabilitative e di reinserimento sociale diverse dalla sanzione penale (sentenza n. 28 del 1993).

In merito ai tre quesiti la Corte Costituzionale ha affermato che il referendum «non consente di scindere il quesito e quindi non offre possibilità di soluzioni intermedie tra il rifiuto e l’accettazione integrale della proposta abrogativa» (sentenza n. 12 del 2014).
La richiesta referendaria è diretta innanzi tutto ad espungere, dall’art. 73, comma 1, t.u. stupefacenti, la parola «coltiva», termine che – nell’interpretazione prospettata dal Comitato promotore riguarderebbe solo la coltivazione domestica “rudimentale” della pianta di cannabis”. In conclusione, ha osservato che “Deve infatti considerarsi che – in ragione della reviviscenza del testo vigente prima della legge n. 49 del 2006 nel contesto normativo di cui si è detto sopra sub punto 4 – la condotta di coltivazione, ricompresa nella catalogazione del comma 1 (unitamente a quelle di produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita ed altre ancora), si riferisce testualmente alle Tabelle I e III dell’art. 14, che concernono le droghe “pesanti” e non già la cannabis, la quale è compresa invece nella Tabella II.
Quindi la condotta di chi «coltiva», prevista dal comma 1 dell’art. 73, è testualmente quella relativa alle piante indicate nella Tabella I (la Tabella III non ne contiene alcuna): il papavero sonnifero e le foglie di coca; inoltre, in mancanza di specificazioni, si tratta della coltivazione tout court, quale che sia la sua estensione, pure agraria e finanche massiva. La coltivazione della canapa è, invece, contemplata nel comma 4 dell’art. 73, che riguarda le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle Tabelle II e IV previste dall’art. 14 e che, quanto alle condotte sanzionate penalmente, richiama quelle dei commi precedenti e segnatamente del comma 1. Sicché è solo come conseguenza indiretta dell’eventuale abrogazione referendaria della parola «coltiva» nel comma 1 della stessa disposizione che sarebbe parimenti depenalizzata altresì la coltivazione della canapa, prevista dalla Tabella II, pure essa nella dimensione agricola, in ipotesi finanche massiva.

Secondo la Corte, il quesito referendario conduceva a depenalizzare direttamente la coltivazione delle piante della Tabella I, da cui si estraggono le sostanze stupefacenti qualificate come droghe cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca), e indirettamente altresì la coltivazione della pianta di cannabis della Tabella II, peraltro nella dimensione anche agricola e non solo domestica.
9.3. Inoltre il risultato prefigurato dalla richiesta referendaria neppure verrebbe conseguito perché comunque rimarrebbe la fattispecie penale dell’art. 28 t.u. stupefacenti, che – in quanto non attinto dalla richiesta referendaria, come del resto ammette lo stesso Comitato promotore – continuerebbe a sanzionare la coltivazione non autorizzata di tutte le piante di cui all’art. 26, comprendendo così sia quelle della Tabella I (papavero sonnifero e foglie di coca), sia quelle della Tabella II (canapa), con la sola eccezione, espressamente prevista, della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’art. 27, consentiti dalla normativa dell’Unione europea. Anche in caso di esito affermativo della consultazione referendaria, quindi, rimarrebbe vigente la prescrizione dell’art. 28, che prevede, al comma 1, che chiunque, senza essere autorizzato, coltiva le piante indicate nel precedente art. 26, è assoggettato alle sanzioni penali (oltre che amministrative) stabilite per la fabbricazione illecita delle sostanze stesse (ossia quelle dell’art. 73). L’art. 26 a sua volta richiama le Tabelle dell’art. 14, come sostituito dal d.l. n. 36 del 2014, come convertito, che contemplano, appunto, le piante sia di papavero sonnifero, sia di coca, sia di canapa.
9.4 In definitiva, mentre apparentemente, per quella che è la dichiarata intenzione del Comitato, il quesito referendario mirerebbe soltanto a depenalizzare la coltivazione, non agricola ma domestica “rudimentale” (o minimale), della canapa indiana (cannabis), in realtà esso – per quello che è invece il suo contenuto oggettivo, l’unico rilevante – per un verso produrrebbe un risultato ben più esteso, riguardando direttamente ogni coltivazione delle piante per estrarre sostanze stupefacenti cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca) e indirettamente anche la coltivazione, agricola o domestica che sia, della pianta di canapa; risultato complessivo precluso dai vincoli sovranazionali sopra richiamati che non consentono l’ammissibilità di un referendum di questa portata”. Concludendo che il corpo elettorale si troverebbe di fronte all’alternativa ben “più ampia (in quanto comprensiva della depenalizzazione anche della coltivazione del papavero sonnifero e delle foglie di coca), quanto illusoria (rimanendo, in realtà, la rilevanza penale di tutte tali condotte); e ciò ridonda in irrimediabile difetto di chiarezza e univocità del quesito.

In merito al secondo quesito, la Corte ha rilevato la contraddittorietà che conseguirebbe all’eliminazione della pena detentiva,
per l’irriducibile antinomia che ne deriverebbe con la fattispecie del comma 5 del medesimo art. 73 t.u. stupefacenti, disposizione non toccata dalla proposta abrogativa referendaria. Infatti si avrebbe che ai medesimi fatti di cui al comma 4, se ritenuti di «lieve entità», rimarrebbe invece applicabile la sanzione congiunta della reclusione e della multa. È vero come sottolinea il Comitato promotore nella sua memoria che questa Corte (sentenza n. 23 del 2016) ha affermato in proposito che, dopo la trasformazione della circostanza attenuante in reato autonomo, «non sussiste più alcuna esigenza di mantenere una simmetria sanzionatoria tra fatti di lieve entità e quelli non lievi». Ma ciò giustifica solo che il regime sanzionatorio del novellato comma 5 dell’art. 73 possa essere come in effetti è unico, senza distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, e non già che paradossalmente il fatto di «lieve entità» possa essere punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e non lo sia invece il fatto non lieve o addirittura quello grave per la ricorrenza delle circostanze aggravanti dell’art. 80 t.u. stupefacenti (l’aumento di pena è, infatti, previsto con riferimento alla pena base, che per la fattispecie del comma 4 dell’art. 73, in caso di esito affermativo del referendum, sarebbe costituita dalla sola multa). Anche in questa parte la richiesta referendaria presenta, quindi, un irrimediabile profilo di inammissibilità per la manifesta contraddittorietà della normativa di risulta con l’intento referendario, in quanto la sanzione detentiva permarrebbe in riferimento ai medesimi fatti quando di «lieve entità».
Ciò ridonda in difetto di chiarezza giacché il quesito referendario chiederebbe all’elettore di operare una scelta illogica e contraddittoria: se eliminare, o no, la pena della reclusione per i fatti concernenti le droghe cosiddette “leggere”, conservandola invece per le medesime condotte se di «lieve entità»”

Per queste motivazioni, la richiesta di referendum popolare è stata dichiara inammissibile in relazione a tutti e tre i quesiti per contraddittorietà, difetto di chiarezza e univocità. In risposta il Comitato promotore ha commentato che:
più che evidenziare perché il quesito referendario sarebbe inammissibile in base alla Costituzione, le 19 pagine della sentenza della Consulta sono un apprezzamento speculativo delle circostanze che sarebbero state create dalla normativa di risulta. La Corte impiega metà sentenza a dare conto a se stessa di quale sia la normativa vigente del testo unico, evidentemente avendo incontrato qualche difficoltà ricostruttiva del testo oggetto dei quesiti”.

Non può che ritenersi questa un’occasione persa di confronto con la politica, grande assente in questo dibattito sulla disciplina della cannabis, che meriterebbe una seria discussione nella aule parlamentari, per i risvolti sociali ed economici che implica.

Perché è così difficile legalizzare la cannabis in Italia?

Il Testo unico sulle droghe è responsabile di molti problemi, dal sovraffolamento delle carceri al congestionamento del sistema giudiziario, ma ancora una volta l’ostruzionismo della destra rischia di bloccare un ddl che potrebbe cambiare le cose (almeno un po’) In Commissione Giustizia alla Camera è stato approvato il testo base della legge sulla depenalizzazione della coltivazione domestica di marijuana (non oltre 4 piante “femmine”) e sulla riduzione di pena per i fatti di lieve entità connessi allo spaccio di sostanze. Il testo adottato in Commissione si divide in 5 articoli, e vuole modificare il testo unico delle leggi che disciplinano stupefacenti e sostanze psicotrope. È frutto di un lungo lavoro di compromesso, perché tutte le forze della coalizione hanno posizioni diverse sull’argomento — tant’è che nel lavoro di sintesi è stato preso in considerazione anche il testo del capogruppo leghista Molinari. La novità principale è appunto la depenalizzazione della coltivazione domestica e in piccole quantità. Inoltre, vengono depenalizzati quelli che vengono definiti “fatti di lieve entità,” e se il reato viene commesso da una persona tossicodipendente, sarà possibile applicare una pena di lavoro di pubblica utilità, al posto del carcere. Si tratta di una misura anche semplicemente di civiltà, come sottolinea il presidente della Commissione Perantoni (M5s): “La coltivazione in casa di canapa è fondamentale per i malati che ne devono fare uso terapeutico e che spesso non la trovano disponibile, oltre che per combattere lo spaccio ed il conseguente sottobosco criminale.” Come contrappeso, probabilmente anche nel tentativo di assecondare la Lega, che già parla di “preludio alla legalizzazione,” la legge prevede anche un aumento da 6 a 10 anni per i reati connessi al traffico e alla detenzione a fine di spaccio della cannabis, la cui fattispecie sarà separata da quella prevista per lo spaccio di oppiacei. Si tratta di misure che Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, ha definito “forcaiole,” e che si augura che “vengano emendate prima dell’approdo in Aula.” Oltre ai voti di Pd, M5S, Leu e +Europa, il testo è passato anche con il Sì del deputato di Forza Italia Elio Vito, mentre Italia Viva si è astenuta. Si riprende così il filo di una lunga battaglia contro il proibizionismo. La storia della legalizzazione in Italia parte dal luglio 1975 quando Marco Pannella viene arrestato per aver fumato marjuana in pubblico. Nel 1976, una delle leggi più proibizioniste in Europa sul tema viene modificata e il consumatore di droghe leggere viene dichiarato non più punibile. Nel 1990 sarà il governo Craxi, su stimolo dello stesso presidente del Consiglio, a reintrodurre il reato per consumo di droghe, ma già nel 1993 per effetto di un referendum abrogativo, sostenuto dal 52% dei cittadini italiani, la detenzione per uso personale smette di costituire reato. Dopo quel referendum saranno molte le iniziative dei Radicali per sottrarre l’erba, come spiegava Marco Pannella, al “monopolio mafioso a cui il proibizionismo assegna le non droghe che sono derivate dalla canapa indiana.” Il famoso regalo di Marco Pannella ad Alda D’Eusanio La normativa del 1990 viene però nuovamente inasprita tra il 2005 e il 2006 dal decreto di legge numero 272 del 30 dicembre 2005, che introduceva sanzioni più gravi legate alla produzione, al traffico, alla detenzione illecita e all’uso di sostanze stupefacenti e soprattutto aboliva ogni distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti. Si trattava della famigerata “Fini-Giovanardi” che è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale il 12 febbraio 2014; da allora la legislazione è tornata alla “Jervolino-Vassalli” (che prevede sanzioni più leggere rispetto alla “Fini-Giovanardi”) come modificata dal referendum del 1993. Nel dicembre del 2016 è stata approvata la legge numero 242, che introduce il concetto di cannabis light, ovvero con un contenuto di THC inferiore allo 0,2% (con una tolleranza fino allo 0,6%), che può essere commercializzata effettivamente come qualsiasi altro tipo di bene — anche se per effettuare l’acquisto è necessario avere 18 anni, come per gli alcolici. Avendo un contenuto di THC così basso, la cannabis light non ha nessuno effetto psicotropo, ma può al massimo garantire una sensazione di rilassatezza grazie alla presenza del CDB. Nel 2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definitivamente stabilito che la coltivazione domestica della cannabis non è reato, anche se dietro la condizione che a consumarla sia solo e unicamente chi materialmente si prende cura delle piante (un arzigogolo bizantino); anche regalarne un grammo a un proprio familiare sarebbe reato di spaccio. Anche l’autocoltivazione rimaneva illegale, ed è quello che il testo di base approvato ieri cerca di cambiare. È importante sottolineare che, seppure quello di ieri sia stato un passo importante, l’iter della riforma si preannuncia molto lungo: secondo il presidente di +Europa Magi all’approvazione della legge “manca un anno di lavoro,” e chiede che la maggioranza che ha adottato il testo ieri — PD, M5S, Forza Italia — si impegni a portarla in Aula. Da parte dell’estrema destra, compresa quella di Matteo Salvini, parte della coalizione di governo, non ci si può che aspettare un’opposizione serrata, e i loro giornali di riferimento sono già in prima linea per diffondere l’allarme — oggi un titolo di Libero recita: “Il droga party di Pd e Cinquestelle.” Secondo il segretario di +Europa Benedetto Della Vedova, gli allarmismi di Lega e FdI “cozzano con la realtà,” Salvini, che quando era ministro dell’Interno si era speso in parole estremamente aggressive anche contro i “negozi di cannabis,” e ieri ha commentato scrivendo su Twitter, che se “ius soli, ddl Zan e oggi la coltivazione della cannabis in casa” sono le “priorità di PD e 5Stelle,” “l’Italia ha un problema.” Una dichiarazione che purtroppo sottolinea solo come tutti e tre i fronti elencati siano sostanzialmente abbandonati — o si proceda estremamente a rilento. Chicoria, rapper, parla di sovraffolamento delle carceri a causa della cannabis per l’associazione Antigone Nel mondo reale, il testo unico sulle droghe è una delle cause principali del sovraffollamento delle carceri, un problema che è stato ulteriormente esacerbato dalla pandemia. La cannabis infatti, nonostante sia la sostanza meno pericolosa, è la più perseguita a livello di controlli: riguardano la cannabis il 58% delle operazioni antidroga, il 96% dei sequestri e il 48% delle denunce ad autorità giudiziarie. Il Dodicesimo libro bianco sulle droghe, uscito lo scorso giugno, elenca gli effetti della “war on drugs” italiana, in alcuni numeri sconcertanti: nel 2020, 10.852 dei 35.280 ingressi in carcere sono stati in base a imputazioni o condanne sulla base dell’articolo 73 del Testo unico — si tratta del 30,8%. Il peso sul sistema giudiziario è colossale: i procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 o 74 sono più di 235 mila, e in 7 casi su 10 si arriva a una condanna. Rimane, forse, utile ricordare che si sa da anni che il proibizionismo semplicemente non funziona.

Cannabis education should aim to normalize — not prevent — safe and legal use

Many of us grew up in a society that prohibited the use of cannabis. When cannabis was legalized in 2018, it was a major shift for most Canadians. How successful have we been in changing the mindset from it being an illegal and stigmatized drug to one that is legal and socially acceptable? Education about cannabis has been inconsistent across Canada. Evidence to support the best approach for cannabis education and awareness campaigns is lacking and historically focused on risk-based messages to encourage people to “do not use.” However, in this new legal environment we need to shift our focus to normalizing, or destigmatizing, cannabis use and educating on how to consume it responsibly and safely. While this shift was identified at the time of legalization, as a society we still have a ways to go to meet these goals. With the goal of legalization to “protect public health and safety,” how do we make sure the public is empowered to make informed choices? Our research team in Newfoundland and Labrador is interested in figuring out how legalization has affected health and safety, and has identified education as a priority. Why educate Marijuana joints rolled with Canadian-themed paper Using smoking as the primary mode of cannabis consumption is a higher-risk behaviour, compared to alternatives such as vaping or edibles. THE CANADIAN PRESS/Christopher Katsarov An international cannabis study survey showed that almost 90 per cent of cannabis consumers partake in some kind of higher-risk consumption behaviour, such as using high-potency products or smoking as the main way of consumption, which is considered high-risk because of its harmful effects on the respiratory system. Vaping or edibles are preferable, although any mode of consumption has risks (for example, because edibles such as cannabis gummies work more slowly, there is a risk of eating too many while waiting for them to take effect). Canada has dedicated more than $100 million in federal funds over six years to raise awareness and educate the public on cannabis and how to legally access and safely consume it. However, two years post legalization, 22 per cent of Canadians still reported not noticing any campaigns or messages about cannabis. What to educate Our research team spoke with citizens and with public and private organizations affected by cannabis legalization in Newfoundland and Labrador to identify priority areas of focus. Our preliminary findings indicate that there is still a lack of education on rules regarding driving, public use and legal sources, which vary by province; medicinal benefits and safe use The content of cannabis education programs often “adopt a narrow view of the ways in which young people may use cannabis,” and must go beyond a mere abstinence focus. For example, D.A.R.E. (Drug Abuse Resistance Education) is a common school-based drug prevention program that takes a risk-prevention approach, but the evidence for its effectiveness is questionable. In addition, cannabis education programs have traditionally been lumped together with other illicit substances with a focus on abstinence, emphasizing potential harms. Evidence-based guidelines support a harm-reduction approach and aim to reduce risks for harm both for the individuals and the population. The focus is on encouraging safe and responsible use and enabling people to view cannabis similarly to alcohol. Who to educate Historically, cannabis education has been directed towards the school-age population, but adults also need to be a key target audience. There are two problems with solely targeting youth: youth are stigmatized as poor decision-makers and adults — who often include teachers, health professionals, law enforcement — are not equipped with sufficient knowledge on cannabis to engage with youth. Although underage use of cannabis is not encouraged, it is important to equip adults with the knowledge that enables them to have informed and nonjudgmental conversations with youth. The legal age for cannabis use ranges from 18 to 21, depending on the province. A display of different types of cannabis edibles A variety of soft chews cannabis edibles are displayed at the Ontario Cannabis Store in Toronto on Jan. 3, 2020. THE CANADIAN PRESS/Tijana Martin Studies have shown that many health professionals do not have sufficient knowledge to even prescribe medicinal cannabis for those who truly need it, let alone enough knowledge to discuss the therapeutic benefits and harms of cannabis. Teachers are the primary point of contact for youth for educational purposes. If they are not well educated about cannabis, they won’t be able to meaningfully engage with youth and provide them with the knowledge and skills to make informed decisions. People who use cannabis should be aware of the rules and regulations so that they protect the health and safety of others. We learned from our preliminary findings that without proper education, law enforcement officers may still view cannabis as criminal, and society at large is still prone to stigmatize those who use cannabis. How to educate Innovative education and awareness strategies need to target youth and the general public to change knowledge, attitudes and behaviour surrounding cannabis. Internet-based education programs that are interactive improve knowledge and reduce cannabis use. Programs that engage youth throughout the process, including the design of the curriculum and the implementation process, will have better long-term outcomes. The Blunt Truth was “developed by youth for youth,” as a youth-friendly version of the lower-risk cannabis use guidelines. Canadian Students for Sensible Drug Policy (CSSDP) is a network of youth and students who are concerned about the negative impact of drug policies. They support evidence-based information to help youth make informed decisions and developed a Toolkit for Educating Youth. It provides realistic and evidence-based guidance for educators and parents. Any effective educational campaign will likely need to involve multiple features, tailored to its audience. Education efforts may be more effective if they use different ways to engage people, both inside and outside the school system. These may include interactive tools and games, films that can generate discussion, social media and peer-led discussion. The legalization of cannabis for non-medical use in Canada has created an opportunity to shift our educational approach in order to make cannabis more acceptable in society. However, this comes with providing education, skills and support to all Canadians. Whether you are a young person, adult, health professional, teacher, parent, law enforcer or anyone else, everyone should be aware of the health and safety considerations regarding cannabis, and make informed choices. The goal of cannabis legalization is to protect public health and safety. To do this, we must normalize safe cannabis use, not stop cannabis consumption. Safer cannabis choices include: Abstain from use. The most effective way to avoid the risks is to avoid using cannabis. Avoid use in adolescence. Cannabis use at a younger age — especially before age 16 — can have negative effects on the developing brain and is associated with adverse health and social effects. Delaying cannabis use at least until after adolescence is recommended. Choose less risky cannabis products. High THC (tetrahydrocannabinol) content products are associated with a higher risk for health problems. Choose lower potency cannabis products that have lower levels of THC and higher levels of CBD (cannabidiol). Avoid synthetic cannabis products. Synthetic cannabis products, such as K2 and Spice, have much more serious side-effects than natural cannabis. Choose safer methods of cannabis consumption. Inhaling cannabis smoke is harmful to the lungs, so choose safer ways to consume such as vaping or edibles. If you do smoke, avoid inhaling deeply or breath-holding, and avoid combining with tobacco. Reduce the amount or frequency of cannabis use. Daily or frequent use has higher risks of negative health and social effects, such as mental health problems, cannabis dependence and poor school performance. Limit to using occasionally, such as only one day a week or on weekends. Don’t drive while impaired. Do not drive or operate machinery for at least six hours — longer for edibles — after using cannabis. Driving while impaired is against the law, and is associated with increased accidents. Avoid mixing cannabis with alcohol. Combining alcohol and cannabis increases impairment. Consider your risk factors for health problems, and avoid if pregnant. People with a personal or family history of psychosis or substance use disorders are at higher risk of negative effects and should avoid using cannabis. Use during pregnancy increases the health risk to the mother and baby. Pregnant women should not use cannabis at all. Avoid combining risky behaviours. It is likely that the combination of these risk behaviours may increase the likelihood or severity of adverse outcomes.

Le tossiche politiche sulle droghe. Cannabis e referendum, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 51/2022

Nel report Prison and drugs in Europe del 2021 pubblicato dall’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction, si ribadisce che in Europa vi sono circa 850.000 persone detenute di cui il 18% è reclusa per uso o possesso di droghe, ma vi sono anche persone in carcere per reati commessi in relazione all’uso di sostanze (ad esempio i delitti contro il patrimonio, dovuti alla dipendenza). Inoltre, emerge come l’Italia mantenga il primato di persone detenute per violazione della normativa in materia di stupefacenti, con il 30% circa di popolazione detenuta per la violazione del Testo unico in materia di stupefacenti (DPR 309/1990). Principalmente la sostanza più utilizzata e punita è la cannabis, seguita dalla cocaina. Nel XII Libro Bianco sulle droghe i dati presenti illustrano come la war on drugs, in atto da 60 anni, sia stata un fallimento totale per la politica criminale, sociale, economica, di salute pubblica. La mera repressione produce solo carcerazione e fa crescere il prezzo al dettaglio delle sostanze. Secondo la Relazione al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze 2021 (su dati del 2020) le operazioni di Polizia finalizzate al contrasto della cannabis sono state 12.066 con sequestri di kg 19.868,69 per la marijuana e di kg 58.827,66 per tutte le sostanze. Sono state sequestrate 414.396 piante di cannabis. I Tribunali accusano gli effetti della legislazione antidroga che solo nel 2020 ha prodotto 92.875 procedimenti penali per la sola violazione dell’art 73 Testo Unico. Sono state coinvolte 189.707 persone tra uomini e donne. Sono invece 45.467 le persone che rispondono ex art 74 D.P.R.309/90 (associazione finalizzata al traffico) con un numero pari a 4.681 procedimenti penali l’anno. L’enorme mole di procedimenti giudiziari pesa come un macigno sul comparto della giustizia e, in generale, sull’organizzazione degli uffici dei Tribunali producendo tempi di fissazione delle udienze lunghi e dilatori: solo il 46% dei procedimenti si trova in primo grado del giudizio, il 13% in secondo grado e l’1,0% in Cassazione. Nel 2020 il 29% dei soggetti condannati con sentenza definitiva era recidivo. Le denunce ex art. 73 D.P.R.309/90 sono state 28.889, di cui 13.586 solo per cannabis mentre quelle per art. 74 D.P.R.309/90 sono state 3.372. Gli arresti 20.641 mentre dalla libertà sono state denunciate 10.414 persone di cui 10.192 stranieri. L’età media dei soggetti denunciati si attesta tra i 20 /24 anni. In questo quadro si è inserito il referendum di iniziativa popolare promosso da “cannabislegale”1), il quale aveva posto il quesito denominato “Abrogazione parziale di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope”, investendo tre disposizioni del d.P.R. 309/90. L’intento dei promotori era quello di rimuovere la coltivazione fra le condotte vietate. La Corte con la sentenza di inammissibilità n. 51 del 2 marzo 2022 ha rilevato come: i proponenti non abbiano inteso incidere sul primo comma dell’art. 26 del testo unico, rimuovendo il divieto assoluto della coltivazione della cannabis. Tale divieto rimanda, al successivo articolo 28, alle sanzioni previste dalla legge, specificatamente indicando, quanto al profilo sanzionatorio, la fattispecie della fabbricazione (prevista dall’art. 73 comma 1, altra rispetto alla coltivazione, pur presente). Il mantenimento di tali disposizioni e dell’art. 27 permetterebbe quindi di tener fermo il divieto di coltivazione al di fuori delle autorizzazioni, ma limitato ad una condotta volta alla fabbricazione. L’impianto così descritto, nell’interpretazione dei proponenti, escluderebbe dall’area della punibilità la coltivazione casalinga c.d. “rudimentale” della pianta per l’infiorescenza di cannabis (che, in quanto tale, non richiede alcuna procedura particolare che possa essere definita lavorazione in senso stretto) e manterrebbe invece punibile la produzione massiva – che per dimensioni e lavorazioni necessarie integrerebbe una condotta di fabbricazione o produzione – sia di cannabis e dei suoi derivati (hashish e concentrati in genere) che di papavero da oppio e pianta di coca, che necessitano di lavorazioni particolari per la trasformazione rispettivamente in eroina e cocaina, ossia in quelle sostanze poi immesse effettivamente sul mercato. Con il ritaglio abrogativo descritto si darebbe peraltro recepimento alla sentenza a Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione n. 12348/2020 (ud. 19 dicembre 2019, Presidente Carcano – Relatore Andronio), che ha ritenuto non punibile questo tipo di coltivazione, rudimentale e a fini di uso personale. In base a ciò la nozione giuridica di coltivazione deve ora essere circoscritta, per dare spazio alla distinzione tra coltivazione “tecnico-agraria” e coltivazione “domestica” e non può essere, in particolare, condivisa, sul punto, l’affermazione (contenuta, ad esempio, nella richiamata sentenza n. 17983 del 2007), secondo cui la coltivazione domestica è riconducibile alla nozione di detenzione, la quale è penalmente irrilevante se finalizzata al consumo personale. In tal senso, la stessa sentenza Di Salvia del 2008, nel sottolineare la distinzione ontologica fra coltivazione e detenzione, afferma che la coltivazione, a differenza della detenzione, è attività suscettibile di creare nuove e non predeterminabili disponibilità di stupefacenti, ma tale affermazione non si attaglia alle coltivazioni domestiche di minime dimensioni, intraprese con l’intento di soddisfare esigenze di consumo personale, perché queste hanno, per definizione, una produttività ridottissima e, dunque, insuscettibile di aumentare in modo significativo la provvista di stupefacenti. Si tratta, però, di un parametro che, per poter operare con sufficiente certezza, deve essere ancorato a presupposti oggettivi – in parte già individuati dalla giurisprudenza (ex plurimis, Sez. 3, n. 21120 del 31/01/2013, Colamartino, Rv. 255427; Sez. 6, n. 6753 del 09/01/2014, M., Rv. 258998; Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014, Piredda, Rv. 260170 e Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168) – che devono essere tutti compresenti, quali: la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non in forma industriale, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti, l’oggettiva destinazione di quanto prodotto all’uso personale esclusivo del coltivatore. Secondo le Sezioni Unite: In conclusione, potranno rilevare, al fine di escludere la punibilità: a) un’attuale inadeguata modalità di coltivazione da cui possa evincersi che la pianta non sarà in grado di realizzare il prodotto finale; b) un eventuale risultato finale della coltivazione che non consenta di ritenere il raccolto conforme al normale tipo botanico, ovvero abbia un contenuto in principio attivo troppo povero per la utile destinazione all’uso quale droga (Sez. 6, n. 22459 del 15/03/2013, Cangemi, Rv. 255732). Questa soluzione – lo si ribadisce – ha il duplice merito di rispettare l’autonomia concettuale della coltivazione rispetto alla detenzione (nel senso che può ontologicamente aversi coltivazione senza detenzione, cioè senza produzione in atto di sostanza stupefacente), e di venire incontro all’esigenza, che appartiene alla sfera della logica ancor prima che a quella della politica criminale, di evitare che l’effettiva sussistenza del reato dipenda dal dato, puramente contingente, rappresentato dal momento dell’accertamento. Diversamente opinando, del resto, potrebbero essere ritenute penalmente irrilevanti coltivazioni industriali, anche di larghe dimensioni e potenzialmente molto produttive, per il solo fatto di trovarsi in un arretrato stadio di sviluppo (come ben evidenziato nella citata sentenza Sez. 3, n. 21120 del 31/01/2013, Colamartino)2). Vi è, dunque, una graduazione della risposta punitiva rispetto all’attività di coltivazione di piante stupefacenti, nelle sue diverse accezioni: devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo – alle condizioni sopra elencate – per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto; la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990; alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l’art. 131-bis c.p., qualora sussistano i presupposti per ritenerne la particolare tenuità, nonché, in via gradata, l’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto. La richiesta del referendum popolare abrogativo era sul seguente quesito: Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 1, limitatamente all’inciso «coltiva»; Articolo 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 4, limitatamente alle parole «la reclusione da due a sei anni e»; Articolo 75 (Condotte integranti illeciti amministrativi), comma 1, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre mesi. I promotori, in particolare, sostenevano, con riferimento alla prima parte del quesito, che l’unico frammento di impunità che vi è ritagliato attiene esclusivamente alla coltivazione rudimentale finalizzata all’immediato uso personale, restando preclusa, dalla normativa di risulta, la possibilità di detenzione e successiva cessione della sostanza, con ciò rispettando altresì le Convenzioni in materia. Con riferimento, poi, alla seconda parte del quesito, la proposta referendaria mirava all’eliminazione delle sole pene detentive (da due a sei anni), tenendo ferma la multa da euro 5.164 a 77.468. Quanto, infine, alla terza parte, si richiedeva di espungere dall’art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti la sola lettera a), al fine di eliminare una sanzione che ha natura particolarmente afflittiva e che senz’altro, sostiene il Comitato, incide considerevolmente sui diritti fondamentali della persona, quali la libertà di circolazione e financo il diritto al lavoro che spesso viene ingiustamente inciso in occasione della comminazione della sospensione della patente di guida Nella memoria nell’interesse dell’Associazione Antigone e Cild è stato precisato che “I temi sottesi ai quesiti referendari sono stati al centro della VI Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze promossa e presieduta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e svoltasi il 27 e 28 novembre 2021 a Genova. Nel documento finale della Conferenza si prende atto del fallimento della c.d. war on drugs e, di contro, si auspica un minor ricorso alle pene detentive soprattutto per le condotte – qual è la coltivazione domestica per uso personale – di minor offensività». In particolare, si legge nel documento finale: La prima causa del sovraffollamento penitenziario è la recidiva nel reato. Se ne deduce il fallimento della pena detentiva, così come configurata nelle attuali prassi, nell’assolvere la funzione riabilitativa. L’idea che la detenzione possa rappresentare lo stimolo al cambiamento si svuota di significato se l’esperienza del carcere comporta ulteriori conseguenze negative per la ridotta disponibilità trattamentale, soprattutto se il sovraffollamento carcerario priva il detenuto non solo della sua libertà, ma anche di altri diritti. La riduzione delle fattispecie incriminatorie, in combinazione con un più esteso e qualificato ricorso alle misure alternative alla detenzione, produrrebbero un’elevata deflazione del circuito carcerario. Rispetto alla riforma del DPR 309/90, e in particolare all’art.73, il Tavolo Tecnico propone di: 1) sottrarre all’azione penale alcune condotte illecite contemplate nelle 22 fattispecie dell’art.73, commi 1 e 1bis, come la coltivazione di cannabis a scopo domestico e la cessione di modeste quantità per uso di gruppo, e introdurre la “finalità del profitto” per tutte le condotte tipizzate. Dunque, i quesiti referendari, in perfetta sintonia con gli esiti della Conferenza sopra riportati, tendevano a mitigare le sanzioni previste per la coltivazione domestica di cannabis destinata all’uso personale. Tale mitigazione del trattamento sanzionatorio diminuirebbe i costi sociali del sovraffolamento penitenziario, stante il grande impatto che hanno i reati a vario titolo legati agli stupefacenti sulle presenze in carcere. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Antigone, al 30 giugno 2021, quando le presenze complessive in carcere si attestavano a 53.637, i detenuti per violazione del Testo Unico sulle droghe erano 19.260 (il 15,1% sul totale delle imputazioni). Nel corso del 2020 sono stati 10.852 i detenuti in ingresso negli istituti penitenziari per questo reato, il 30,8% sul totale. Nel 2020 il 38,6% delle persone che sono entrate negli istituti penitenziari era tossicodipendente. Nel 2005 erano il 28,41%. Per analizzare nello specifico l’impatto delle carcerazioni per coltivazione domestica, a fronte dell’assenza di statistiche relative alle condanne per la coltivazione di cannabis, può farsi riferimento alla centralità dei cannabinoidi nella nella c.d. war on drugs: dai dati annuali rilasciati dalla Direzione Centrale per i Servizi Antidroga riguardanti numero di operazioni e chilogrammi sequestrati, emerge che nell’arco di quindici anni, dal 2004 al 2018, sono state condotte 320.643 operazioni antidroga; di queste, 171.034 hanno riguardato la cannabis (il 53,3%), per un totale di 850 tonnellate di cannabis sequestrate, contro meno di 66 tonnellate di cocaina e 17 di eroina3). La Corte Costituzionale, glissando su questi aspetti legati alle politiche proibizioniste, non è entrata nel merito, ma si è limitata ad osservare quelli tecnico/giuridici legati ai quesiti referendari. In premessa, il Giudice delle leggi ha ricordato le precedenti iniziative referendarie in materia. La prima perseguiva lo scopo di liberalizzare la coltivazione, il commercio, la detenzione, l’uso della canapa indiana e dei suoi derivati (hashish e marijuana). Questa Corte (sentenza n. 30 del 1981) aveva dichiarato inammissibile il referendum perché esso – avendo ad oggetto la Tabella II (allora prevista dall’art. 12 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, recante «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza») e, con riferimento al divieto assoluto di coltivazione, l’inciso «di piante di canapa indiana» di cui all’art. 26 della legge ora citata – si poneva in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia in materia di disciplina della canapa indiana e dei suoi derivati, dovendo ritenersi preclusi i referendum che investano non soltanto le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, ma anche quelle strettamente collegate all’esecuzione dei trattati medesimi. Una seconda iniziativa referendaria – avente ad oggetto varie disposizioni del d.P.R. n. 309 del 1990, e la cui finalità, secondo la Corte, era quella «di rendere lecite e, quindi, prive di sanzione, le attività preliminari e connesse all’uso personale della canapa indiana e dei suoi derivati, quali hashish e marijuana» – è stata anch’essa dichiarata inammissibile con sentenza n. 27 del 1997 in ragione, parimenti, dei vincoli derivanti dalle Convenzioni internazionali. Dall’abrogazione delle disposizioni oggetto del quesito referendario sarebbe derivata infatti l’esposizione dello Stato italiano a responsabilità nei confronti delle altre parti contraenti a causa della violazione degli impegni assunti in sede internazionale. Invece, è stato dichiarato ammissibile il referendum che concerneva l’uso personale di sostanze stupefacenti, anche in dose superiore a quella media giornaliera, e che mirava alla depenalizzazione dell’importazione, dell’acquisto e della detenzione limitatamente a tale uso, lasciando sussistere le sanzioni amministrative, sicché esso non si poneva in contrasto con gli obblighi internazionali assunti in materia dallo Stato italiano (sentenza n. 28 del 1993). Il quadro degli obblighi internazionali rilevanti è definito dalla Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e dal relativo Protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972, entrambi ratificati e resi esecutivi in Italia per effetto della legge 5 giugno 1974, n. 412; dalla Convenzione sulle sostanze psicotrope di Vienna del 21 febbraio 1971; dalla Convenzione delle Nazioni Unite, adottata a Vienna il 20 dicembre 1988, contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, ratificata e resa esecutiva in Italia per effetto della legge 5 novembre 1990, n. 328. Rileva poi la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, la quale ha indicato anche la coltivazione della cannabis tra le condotte per le quali i singoli Stati devono applicare sanzioni penali. La direttiva (UE) 2017/2103 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017 ha modificato la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, al fine di includere nuove sostanze psicoattive nella definizione di «stupefacenti». Pertanto, il Giudice delle leggi ha osservato che: Non vi è quindi dubbio che, alla stregua delle Convenzioni internazionali di Vienna e di New York, nonché della richiamata normativa europea, la canapa indiana e i suoi derivati rientrano tra le sostanze stupefacenti, la cui coltivazione e detenzione deve essere qualificata come reato e che solo la loro destinazione al consumo personale rende possibile l’adozione delle misure amministrative riabilitative e di reinserimento sociale diverse dalla sanzione penale (sentenza n. 28 del 1993). In merito ai tre quesiti la Corte Costituzionale ha affermato che il referendum «non consente di scindere il quesito e quindi non offre possibilità di soluzioni intermedie tra il rifiuto e l’accettazione integrale della proposta abrogativa» (sentenza n. 12 del 2014). La richiesta referendaria è diretta innanzi tutto ad espungere, dall’art. 73, comma 1, t.u. stupefacenti, la parola «coltiva», termine che – nell’interpretazione prospettata dal Comitato promotore riguarderebbe solo la coltivazione domestica “rudimentale” della pianta di cannabis”. In conclusione, ha osservato che “Deve infatti considerarsi che – in ragione della reviviscenza del testo vigente prima della legge n. 49 del 2006 nel contesto normativo di cui si è detto sopra sub punto 4 – la condotta di coltivazione, ricompresa nella catalogazione del comma 1 (unitamente a quelle di produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita ed altre ancora), si riferisce testualmente alle Tabelle I e III dell’art. 14, che concernono le droghe “pesanti” e non già la cannabis, la quale è compresa invece nella Tabella II. Quindi la condotta di chi «coltiva», prevista dal comma 1 dell’art. 73, è testualmente quella relativa alle piante indicate nella Tabella I (la Tabella III non ne contiene alcuna): il papavero sonnifero e le foglie di coca; inoltre, in mancanza di specificazioni, si tratta della coltivazione tout court, quale che sia la sua estensione, pure agraria e finanche massiva. La coltivazione della canapa è, invece, contemplata nel comma 4 dell’art. 73, che riguarda le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle Tabelle II e IV previste dall’art. 14 e che, quanto alle condotte sanzionate penalmente, richiama quelle dei commi precedenti e segnatamente del comma 1. Sicché è solo come conseguenza indiretta dell’eventuale abrogazione referendaria della parola «coltiva» nel comma 1 della stessa disposizione che sarebbe parimenti depenalizzata altresì la coltivazione della canapa, prevista dalla Tabella II, pure essa nella dimensione agricola, in ipotesi finanche massiva. Secondo la Corte, il quesito referendario conduceva a depenalizzare direttamente la coltivazione delle piante della Tabella I, da cui si estraggono le sostanze stupefacenti qualificate come droghe cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca), e indirettamente altresì la coltivazione della pianta di cannabis della Tabella II, peraltro nella dimensione anche agricola e non solo domestica. 9.3. Inoltre il risultato prefigurato dalla richiesta referendaria neppure verrebbe conseguito perché comunque rimarrebbe la fattispecie penale dell’art. 28 t.u. stupefacenti, che – in quanto non attinto dalla richiesta referendaria, come del resto ammette lo stesso Comitato promotore – continuerebbe a sanzionare la coltivazione non autorizzata di tutte le piante di cui all’art. 26, comprendendo così sia quelle della Tabella I (papavero sonnifero e foglie di coca), sia quelle della Tabella II (canapa), con la sola eccezione, espressamente prevista, della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’art. 27, consentiti dalla normativa dell’Unione europea. Anche in caso di esito affermativo della consultazione referendaria, quindi, rimarrebbe vigente la prescrizione dell’art. 28, che prevede, al comma 1, che chiunque, senza essere autorizzato, coltiva le piante indicate nel precedente art. 26, è assoggettato alle sanzioni penali (oltre che amministrative) stabilite per la fabbricazione illecita delle sostanze stesse (ossia quelle dell’art. 73). L’art. 26 a sua volta richiama le Tabelle dell’art. 14, come sostituito dal d.l. n. 36 del 2014, come convertito, che contemplano, appunto, le piante sia di papavero sonnifero, sia di coca, sia di canapa. 9.4 In definitiva, mentre apparentemente, per quella che è la dichiarata intenzione del Comitato, il quesito referendario mirerebbe soltanto a depenalizzare la coltivazione, non agricola ma domestica “rudimentale” (o minimale), della canapa indiana (cannabis), in realtà esso – per quello che è invece il suo contenuto oggettivo, l’unico rilevante – per un verso produrrebbe un risultato ben più esteso, riguardando direttamente ogni coltivazione delle piante per estrarre sostanze stupefacenti cosiddette “pesanti” (papavero sonnifero e foglie di coca) e indirettamente anche la coltivazione, agricola o domestica che sia, della pianta di canapa; risultato complessivo precluso dai vincoli sovranazionali sopra richiamati che non consentono l’ammissibilità di un referendum di questa portata”. Concludendo che il corpo elettorale si troverebbe di fronte all’alternativa ben “più ampia (in quanto comprensiva della depenalizzazione anche della coltivazione del papavero sonnifero e delle foglie di coca), quanto illusoria (rimanendo, in realtà, la rilevanza penale di tutte tali condotte); e ciò ridonda in irrimediabile difetto di chiarezza e univocità del quesito. In merito al secondo quesito, la Corte ha rilevato la contraddittorietà che conseguirebbe all’eliminazione della pena detentiva, per l’irriducibile antinomia che ne deriverebbe con la fattispecie del comma 5 del medesimo art. 73 t.u. stupefacenti, disposizione non toccata dalla proposta abrogativa referendaria. Infatti si avrebbe che ai medesimi fatti di cui al comma 4, se ritenuti di «lieve entità», rimarrebbe invece applicabile la sanzione congiunta della reclusione e della multa. È vero come sottolinea il Comitato promotore nella sua memoria che questa Corte (sentenza n. 23 del 2016) ha affermato in proposito che, dopo la trasformazione della circostanza attenuante in reato autonomo, «non sussiste più alcuna esigenza di mantenere una simmetria sanzionatoria tra fatti di lieve entità e quelli non lievi». Ma ciò giustifica solo che il regime sanzionatorio del novellato comma 5 dell’art. 73 possa essere come in effetti è unico, senza distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, e non già che paradossalmente il fatto di «lieve entità» possa essere punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e non lo sia invece il fatto non lieve o addirittura quello grave per la ricorrenza delle circostanze aggravanti dell’art. 80 t.u. stupefacenti (l’aumento di pena è, infatti, previsto con riferimento alla pena base, che per la fattispecie del comma 4 dell’art. 73, in caso di esito affermativo del referendum, sarebbe costituita dalla sola multa). Anche in questa parte la richiesta referendaria presenta, quindi, un irrimediabile profilo di inammissibilità per la manifesta contraddittorietà della normativa di risulta con l’intento referendario, in quanto la sanzione detentiva permarrebbe in riferimento ai medesimi fatti quando di «lieve entità». Ciò ridonda in difetto di chiarezza giacché il quesito referendario chiederebbe all’elettore di operare una scelta illogica e contraddittoria: se eliminare, o no, la pena della reclusione per i fatti concernenti le droghe cosiddette “leggere”, conservandola invece per le medesime condotte se di «lieve entità»” Per queste motivazioni, la richiesta di referendum popolare è stata dichiara inammissibile in relazione a tutti e tre i quesiti per contraddittorietà, difetto di chiarezza e univocità. In risposta il Comitato promotore ha commentato che: più che evidenziare perché il quesito referendario sarebbe inammissibile in base alla Costituzione, le 19 pagine della sentenza della Consulta sono un apprezzamento speculativo delle circostanze che sarebbero state create dalla normativa di risulta. La Corte impiega metà sentenza a dare conto a se stessa di quale sia la normativa vigente del testo unico, evidentemente avendo incontrato qualche difficoltà ricostruttiva del testo oggetto dei quesiti”. Non può che ritenersi questa un’occasione persa di confronto con la politica, grande assente in questo dibattito sulla disciplina della cannabis, che meriterebbe una seria discussione nella aule parlamentari, per i risvolti sociali ed economici che implica.

Is the word ‘marijuana’ racist?

The Haymaker is Leafly Senior Editor Bruce Barcott’s opinion column on cannabis politics and culture. A couple months ago legislators in Washington state removed the word marijuana and replaced it with cannabis in the state’s legal codes. The bill’s authors did so because “the use of the term ‘marijuana’ in the United States has discriminatory origins.” They deemed the term cannabis more scientifically accurate. But then the primary author of the new law made a bolder statement. “The term ‘marijuana’ itself is pejorative and racist,” state Rep. Melanie Morgan said. “It was used as a racist terminology to lock up Black and brown people.” A lawmaker claimed the word marijuana ‘is pejorative and racist.’ But is it really?

Morgan’s “pejorative and racist” comment sparked a conversation about our use of the word at Leafly. We take language seriously here. We’re all too aware of the power of words to shape debate, create stigma, pass laws, and deny personal freedoms—especially when it comes to cannabis. Words can heal and words can harm.
We’ve long known that marijuana has a complicated history. But is it actually pejorative and racist?
Over the past few weeks I asked cannabis experts and my own Leafly colleagues for their input.
It turns out there’s no easy answer to the question. During our conversations, it dawned on me that we get into trouble when we demand a binary answer to a nonbinary question. We ask: “Is this word offensive?” But in most cases language doesn’t work like that. Words live, breathe, and evolve in an atmosphere of cultural context.
So let’s dive into the context of marijuana.

Why Hemp was banned in 1937

Hemp played a crucial role in the early days of America. It was used for food, clothing, rope, paper, sail cloth and as a cash crop. The founding fathers of America grew hemp extensively for all of the reasons listed above so it may come as a surprise to learn that hemp effectively banned in 1939 due to a huge public smear campaign among many other factors. There were a large number of factors that eventually led to the prohibition and subsequent labelling as a controlled substance in 1979. There is the Corporate conspiracy theory that suggests hemp was banned by corporate special interests who saw hemp as a threat to oil and other synthetic fibres they controlled. This included a massive public smear campaign and the campaigning of the Drug Enforcement Agent Arlisson who went on to promote hemp prohibition around the world. So lets take a look at all the pieces of the puzzle and see if we can come to a clear understanding of why hemp was banned in 1939. THE EARLY 1900’S Hemp In Kentucky Hemp In Kentucky Early 1900’s The Machines for processing hemp improved and became state of the art in the early 1930’s and this was a significant threat to the powers that be including Hearst newspapers and their huge amount of trees. It was also a threat to Dupont who would be set to have serious competition from hemp that would seriously reduced their turnover. This was also a worry to Duponts banker, Andrew Mellon, of Mellon bank, Pittsburgh, who would also be set to lose out. Dupont had new patents for synthetic fibres, paper made from wood pulp along with their other plastic and textiles enterprises. Hemp could have competed with 80% of their business in a free market but instead it was Dupont who would filled the railroads with its good for the next 70 years, causing untold pollution of the environment and the rivers. A NEW MAN IN A NEW ROLE – HARRY J. ANSLINGER Harry J Anslinger Harry J Anslinger It may come as no surprise that Mellon Bank would appoint Harry J. Anslinger to head the new bureau of narcotics and dangerous drugs. He would go on to make Cannabis he’s number 1 target and campaign rigorously against it until prohibition in 1937. Following prohibition in the States, he would go on to denounce cannabis and call for it’s prohibition worldwide. Hemp Marijuana Proaganda Anslinger who would even go on to marry Andrew Melons daughter, testified the following before congress in 1937: “Marijuana is the most violence-causing drug in the world” I would like to see some evidence to back these claims up. Marijuana users are: “slaves to this narcotic, continuing addiction until they deteriorate mentally, become insane, turn to violent crime and murder.” By this time Dupont was pushing its new petrochemical synthetics to its shareholders and of course hemp would again be the competition. If only there was a way to get rid of it? Hemp Prop 2 Harry Anslinger would go on to change his tune completely 20 years later when he said marijuana pacified people and would subdue the fighting will of the American men. William Hearst’s Smear Campaign and the birth of ‘Yellow Journalism’ Newspaper baron, William Hearst owned vast acres of woodlands and it is said that he, Dupont, Anslinger and Melon were all set to lose from cannabis utility, ease of growth and quality, so they all came together to try to get rid of it. Hearst had invested millions in technology for processing wood into paper at the time and with stationers starting the favour Hemp stalks for their paper, Hearst’s investments were in jeopardy. William Hearst would introduce “Yellow Journalism” as a force in America. That is, sensationalist journalism with clickbait headlines, where the factual contents of the story were an after thought, in much the same way as we see today in the age of “Fake News”. The perfect example of this is the reporting on a car crash where a marijuana cigarette was found. The story made the front pages for weeks while alcohol related crashes were pushed to the back pages even though they were 10,000 times more common. We see the same rubbish reporting to this day and the internet has only served to amplify it. Another example would be another ridiculous headline from Hearst’s paper that read: “If the hideous monster Frankenstein came face to face with the monster marijuana, he would drop dead of fright.” Hearst had another reason to be aggrieved, he had lost 800,000 acres of trees to the Mexican poncho villa and he went on to label all Mexicans as lazy and violent due to their marijuana smoking. Marijuana Propaganda 1930s STUDIES AT THE TIME: It is important to note that the research and studies carried out at time did not find much issue with cannabis which definitely leads to the corporate conspiracy theory. CHANGE IN USE, RACISM AND BLAMING THE MEXICANS Cannabis had been carried regularly used by early Americans for its medicinal purposes and was freely available in pharmacy all around the country up until the early 1900’s, they rarely used it for pleasure. Hemp Prop 4 It’s claimed that the Mexicans who crossed the border in the United States brought the use of marijuana for recreation with them. Calling it Marijuana in Anslingers bill seems to have been part of the strategy to pin this new threat to America on the Mexican immigrants who may have brought it with them. “I wish I could show you what a small marihuana cigaret can do to one of our degenerate Spanish-speaking residents.” A Quote from a local Colorado newspaper of the time. Hemp Racist Propaganda This was especially true of ‘Black Jazz musicians’ who would use pot to get white girls to sleep with them and spew anti white ‘viciousness’ in their music. Anslinger was terribly racist in his approach saying the pot was leading to interracial marriages and orgies Marijuana Prop Even when Hearst and other sensationalist newspapers used the marijuana epidemic to push a serious propaganda campaign, few Americans actually considered marijuana to be a danger to America and even fewer linked marijuana and hemp as the same plant so they were blissfully unaware that their valuable crop would soon be taken away. Anslinger kept a Gore file which stated that 50% of violent crime could be attributable to marijuana smoking immigrants. He even stated that an axe murder was committed by a Mexican who had smoked marijuana 4 days previously. Almost everything in the Gore files has been discovered to be a lie. THE PROHIBITION BUREAUCRACY THEORY There is another theory or one that simply adds to the existing theory. With the alcohol prohibition repealed in 1933, the government agencies that were charged with enforcing the alcohol ban had nothing left to do and would be shut down. In the throws of the great depression, government spending was coming under increased scrutiny and all expenditures were being examined. More Pot Prop If Anslinger wanted to make a name for himself he would need to go after more than just Cocaine and Heroin, which were used by too few people sporadically to attack on their own, so Anslinger was more than happy to give them a new enemy and prohibition target in marijuana. THE MARIJUANA TAX ACT OF 1937 In 1937, Anslinger brought his case for prohibition to Congress and he got it passed. Based purely on lies and misinformation, Anslinger made some outrageous claims before Congress, fuelled by all the media propaganda that had gone before. Of course, the press ran with this exaggerated version of events and Anslinger’s main body of evidence would be the a report written by Eugene Stanley entitled: “Marijuana as a developer of Criminals”. Marijunana Tax The report failed to mention a thorough report into marijuana smoking in Panama in 1930 which led to the conclusion that marijuana smoking was not a serious threat and should face no criminal charges although it was habit forming in the same way as “Sugar or Coffee”. Anslinger had contacted 30 scientists for their opinion on the dangers of marijuana and only 1 agreed with him and that is the one whose opinion was given before congress and the effects of marijuana were claimed to be the following. THE PARTICULARS OF THE TAX BILL The tax bill did not make Hemp illegal in 1937 but it places a lot of restrictions on it’s use, effectively prohibiting it. The particulars of the Act are as follows: All handlers of cannabis have to be registered and pay a special occupational tax. Written forms have to be filled out , submitted and filed for every transaction. $1 dollar has to be paid every time hemp is delivered to a authorised recipient. Opposition from the American Medical Association The American Medical Association at the time, saw throw the lies and hysteria caused by the smear campaign of the early 30’s and they voiced their opposition vehemently in congress. Dr William Woodward seems to be correct in his thinking when he challenged the Treasury in all aspects of their case: “We are told that the use of marijuana causes crime. But as yet no one has been produced from the Bureau of Prisons to show the number of persons addicted to marijuana. An informal inquiry shows that the Bureau of Prisons has no information to this point. You have been told that school children are great users of marijuana cigarettes. No one has been summoned from the Children’s Bureau to show the nature and extent of the habit among children. Inquiry into the Office of Education, and they certainly should know something of the prevalence of the habit among school children of this country, if there is a prevalent habit, indicates that they had not occasion to investigate it and know nothing of it.” Woodward went on to claim that all these problems were in the minds of the bureau of narcotics and that the threats were greatly over exaggerated. Woodward blasted the bureau for keeping the bill a secret right up until it was about to be introduced. He stated: “During the past 2 years, I have visited the Bureau of Narcotics probably 10 or more times. Unfortunately, I had no knowledge that such a bill as this was proposed until after it had been introduced… We cannot understand yet, Mr. Chairman, why this bill should have been prepared in secret for 2 years without any intimation even to the profession, that it was being prepared.” AN EXEMPTION FOR THE BIRDSEED INDUSTRY The birdseed industry arrived late to the party, startled that marijuana was the same thing as hemp. The birdseed industry used over a million pounds of hemp seed per anum and they wanted the seeds to be excluded. Congress asked their representative if the hemp seeds had the same effect on the birds as it does on humans and he said he “didn’t think so but it brought back the feathers to a bird.” This led to hempseeds being excluded from the bill as long as they were sterilized before use, ensuring they could be used to plant new hemp plants. THE MARIJUANA TAX ACT IS PASSED The hearings themselves took place in late April of 1937 and they didn’t promote a complete ban of hemp but to merely prohibit it: Clinton M. Hester presented the case to the house committee, stating: Marijuana is “being used extensively by high school children in cigarettes.. and its effect is deadly”. “The leading newspapers of the United States have recognized the seriousness of this problem and many of them have advocated Federal legislation to control the traffic in marihuana.” At the hearing itself, many of the congressman did not know the connection between marijuana and hemp and Hester claimed that the bill, would not impinge on the industrial hemp industry. “The plant also has many industrial uses . . . The production and sale of hemp and its products for industrial purposes will not be adversely affected by this bill” Congressman Robinson of Kentucky voiced his concern about how it might affect the industry hemp markets at the hearing when he said: “The plant also has many industrial uses . . . The production and sale of hemp and its products for industrial purposes will not be adversely affected by this bill” The reply he got would turn out to be not totally true: “This bill defines marihuana so that every legitimate use of hemp is protected.” War On Dope THE DECLINE OF INDUSTRIAL HEMP The Marihuana tax act was passed in late 1937 and the hemp industry was effectively crippled. Investors didn’t want to risk their money, their was social stigma and with federal agents clamping down on the industry, it rapidly declined into obscurity although commercial hemp farming did continue to an extent. HEMP FOR VICTORY Prohibition ended momentarily in 1942 with World War 2 after America had been engaged in the battle following the attacks on pearl harbour. As The government didn’t want to rely on imported fibres following the start of the war, they quickly learned how important hemp would be to the Allied cause and came together with a “Hemp For Victory” campaign that would encourage farmers to grow hemp. This shows they still saw the difference between hemp and marijuana. American Farmers would go on to grow over 1 million acres of hemp for the American war efforts. THE FARM BILL OF 2018 Trump Signs Farm Bill The Farm Bill was passed in 2018 by President Trump and it brought a huge victory with it for the hemp industry which is booming all over the world again all of a sudden. The farm bill stated that any Cannabis plant containing under .3% THC would not be legal under federal law. The CBD and medicinal markets for Hemp have become big business since the bill passed. Hemp is a naturally growing plant that is carbon neutral and all of the plant can be used with no wastage for a huge variety of purposes. The future of the hemp market is extremely bright especially as the world turns towards sustainable energy and environmentally friendly building materials, Hemp’s name is sure to crop up again and again.

ITALIA - Cannabis in Parlamento: c'è la nuova proposta per la coltivazione domestica

Ieri pomeriggio è stato depositato in Commissione dal Presidente Perantoni, che ora è relatore della proposta per la coltivazione domestica di cannabis. Ho chiesto un parere ai nostri avvocati e come prima cosa ho pensato di condividerla con te, trovi il testo integrale in fondo alla mail. In sintesi, il nuovo testo prevede: 1?? Per il reato di produzione detenzione e spaccio (art 73) verrebbe introdotta la fattispecie di lieve entità, per punire meno severamente i casi meno gravi; 2?? Sarebbe consentita la coltivazione di 4 piante per uso personale; 3?? Cadrebbe anche la sanzione amministrativa (art 75); 4?? Se a commettere il reato di spaccio è persona tossicodipendente non è punita con il carcere ma con i lavori socialmente utili; 5?? Le pene sarebbero aumentate nei casi di associazione a delinquere, nei casi in cui il reato sia commesso nei confronti dei minori, e nel caso di reato commesso da chi è in possesso di un'autorizzazione a produrre per fini medici e di ricerca. PROPOSTA DI TESTO UNIFICATO COME TESTO BASE Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di coltivazione, cessione e consumo della cannabis e dei suoi derivati. ART. 1 (Coltivazione e detenzione in forma individuale di cannabis per uso personale). ??1. Al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni: ???a) al comma 1 dell'articolo 17, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fatto salvo quanto previsto dal comma 1-bis dell'articolo 26». ???b) all'articolo 26, comma 1 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché della cannabis coltivata ai sensi di quanto previsto dal comma 1-bis del presente articolo»; ???c) all'articolo 26, dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. Al di fuori del regime delle autorizzazioni di cui agli articoli 17 e 27 e fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 73, sono consentite a persone maggiorenni la coltivazione e la detenzione per uso personale di non oltre quattro femmine di cannabis, idonee e finalizzate alla produzione di sostanza stupefacente e del prodotto da esse ottenuto». ART. 2 (Modifiche all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309)

All'articolo 73 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni:
???a) al comma 1, dopo la parola: «Chiunque,» sono inserite le seguenti: «fatto salvo quanto previsto dal comma 1-bis dell'articolo 26»;
???b) il comma 2 è sostituito con il seguente: «2. Chiunque, essendo munito dell'autorizzazione di cui all'articolo 17, illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nella tabella I di cui all'articolo 14, è punito con la reclusione da 8 a 20 anni e con la multa da euro 30.000 a euro 300.000.»;
???c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: «2-bis – La pena è della reclusione da 3 a 12 anni e della multa da euro 20.000 a 250.000 euro se le attività illecite riguardano le sostanze o le preparazioniPag. 68indicate nella tabella II di cui all'articolo 14.»
???d) al comma 3 le parole «Le stesse pene» sono sostituite con le seguenti «Le pene previste dal comma 2 e dal comma 2-bis»;
???e) il comma 4 è sostituito con il seguente: «4. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano le sostanze di cui alla Tabella II, si applica la pena della reclusione da 2 a 10 anni.»;
???f) i commi 5 e 5-bis sono soppressi;
???g) il comma 5-ter è soppresso;
???h) il comma 7 è sostituito con il seguente: «7. Le pene previste ai sensi del presente articolo sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti, ovvero nell'individuazione o la cattura dei concorrenti.»;
???i) al comma 7-bis, le parole: «,fatta eccezione per il delitto di cui al comma 5,» sono soppresse.
ART. 3
(Produzione, acquisto e cessione illeciti di lieve entità di sostanze stupefacenti o psicotrope)
??1. Dopo l'articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, è inserito il seguente:
??«Art. 73-bis. – (Produzione, acquisto e cessione illeciti di lieve entità di sostanze stupefacenti o psicotrope) – 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 73 che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione fino a due anni e della multa fino a euro 10.000. Si applica la reclusione fino a un anno e la multa fino a euro 6.500,00 nei casi di cui comma 4 dell'articolo precedente.
??2. Le pene previste ai sensi del presente articolo sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti, ovvero nell'identificazione o la cattura dei concorrenti.
??3. Nelle ipotesi di cui al comma 1, quando il delitto è stato commesso da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope, la cui condizione è stata certificata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata autorizzata ai sensi dell'articolo 116 del presente testo unico, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste, in sostituzione delle pene detentive e pecuniarie. Con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L'ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva sostituita. Può essere disposto che esso si svolga anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell'articolo 116 del presente testo unico, con il consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio,Pag. 69il giudice che procede, o quello dell'esecuzione, con le modalità di cui all'articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell'entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione; il ricorso non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.
??4. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche in ipotesi di reato diverso da quelli di cui al comma 1, commesso, per una sola volta, da persona tossicodipendente o da assuntore abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope e in relazione alla sua condizione di dipendenza o di assuntore abituale, per il quale il giudice infligga una pena non superiore a un anno di reclusione, salvo che si tratti di un reato previsto dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale o di un reato contro la persona.
??5. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nei casi in cui le sostanze stupefacenti e psicotrope sono consegnate o comunque destinate a persona di minore età o ricorra la circostanza di cui al n. 11-ter dell'articolo 61 del codice penale».
??2. Alla lettera h) del comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale, le parole «salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo» sono soppresse.
ART. 4
(Modifiche all'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309)
??1. All'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni:
???a) al comma 2 le parole «non inferiore a dieci» sono sostituite con le seguenti: «da 10 a 15»;
???b) al comma 7, dopo la parola «o» sono aggiunte le seguenti: «per l'identificazione o la cattura dei concorrenti o degli associati, ovvero».
ART. 5
(Illeciti amministrativi)
??1. All'articolo 75 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni:
???a) al comma 1, alinea, le parole: «, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo,» sono soppresse;
???b) il comma 1-bis è soppresso.

I cannabinoidi: guida completa ai componenti della Cannabis

Cannabinoidi: quali sono, cosa sono e quali gli effetti? I cannabinoidi sono elementi chimici contenuti nella pianta di cannabis che interagiscono in modi differenti con il cervello umano. Se il principio del THC è responsabile dei classici effetti euforizzanti della cannabis, altri principi attivi come il CDB sono terapeutici e non provocano alterazioni psicofisiche. Il CDB (o cannabidiolo) interagisce con l’organismo provocando sensazioni benefiche, come il miglioramento della digestione, la distensione muscolare ed è utile per combattere lo stress e l’insonnia. Inoltre il cannabidiolo rafforza il sistema immunitario e agisce con effetto antinfiammatorio e analgesico. In commercio esistono molti prodotti a base di CBD e sono legali nella maggior parte dei Paesi europei. L’attuale normativa italiana, infatti, permette la coltivazione della canapa sativa e la vendita di prodotti cannabinoidi (come l’olio di CBD) estratti dalla pianta, a condizione che la percentuale di THC sia inferiore allo 0,5%. Vai allo shop Cosa sono i cannabinoidi? I cannabinoidi sono dei composti contenuti all’interno dei fiori della pianta di cannabis. Si tratta di sostanze di varia natura che interagiscono con i recettori dei cannabinoidi (CB1 e CB2) presenti nell’encefalo umano, mimando gli effetti di sostanze normalmente prodotte dall’organismo (endocannabinoidi). Quando vengono stimolati tramite l’assunzione di cannabinoidi, i recettori determinano i classici effetti euforizzanti della marijuana, dovuti all’azione del THC (il principio psicotropo dei cannabinoidi), ma al contempo stimolano anche degli effetti terapeutici dovuti proprio al CBD (come il rilassamento muscolare, l’azione antinfiammatoria e la stimolazione dell’appetito). Gli elementi dei cannabinoidi: THC, CBD, CBN, CBG,THCV Tra gli elementi che fanno parte dei cannabinoidi troviamo: Il THC o tetraidrocannabinolo: la sostanza inebriante della canapa che determina i classici effetti associabili all’assunzione di marijuana (euforia, aumento dell’appetito, rilassatezza, ecc…). In molti paesi è una sostanza illegale, mentre in altri i prodotti a base di THC vengono usati per alleviare alcuni effetti collaterali dovuti al trattamento di talune forme di cancro e altre malattie. In tali casi la vendita avviene solo sotto prescrizione medica. Il CBD o cannabidiolo: i suoi effetti analgesici e antinfiammatori lo rendono molto utilizzato nell’industria farmacologica. É un componente non psicoattivo della cannabis ed è legale in molti paesi, tra cui l’Italia. Il CBC o cannabichromas (cannabicromene), rafforza la componente terapeutica del CBD, senza avere l’effetto rilassante. Alcune fonti mediche ne riportano un effetto antinfiammatorio. Il CBN o cannabinolo, viene prodotto dall’ossidazione del THC ma pare non avere effetti psicotropi. Si trova in grandi quantità nella cannabis essiccata. Sembra non esistere una normativa specifica rispetto al CBN, ma essendo analogo al THC potrebbero essere applicate le medesime restrizioni normative. Il CBG o cannabigerolo, non è una sostanza psicoattiva e, come il CBD, ha un forte effetto antidolorifico, viene usato nella cura di psoriasi, eczemi e infezioni della pelle. Il THCV o tetraidrocannabivarina, ha un effetto psicoattivo minore del THC, gli vengono riconosciuti effetti stimolanti sul metabolismo e per questo sembrerebbe essere d’aiuto in caso di sovrappeso.

Uno studio del 2008 attesta come i cinque principali cannabioidi presenti nella Marijuana (cit. “Canapa Sativa”), CBD, CBC, CBG, THC e CBN, abbiano effetti antibatterici (“hanno mostrato una potente attività contro una varietà di Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA)”.

Che Cosa Sono I Cannabinoidi E Perché Sono Così Importanti?

Tutti gli appassionati di cannabis avranno già sentito parlare del THC, noto alla scienza come (–)-trans-Δ⁹-tetraidrocannabinolo. Questa molecola è responsabile dei caratteristici effetti psicoattivi percepiti dopo aver fumato una canna o usato un vaporizzatore. A questo punto, molti avranno anche sentito parlare del CBD, o cannabidiolo. Sia il THC che il CBD appartengono ad una classe chimica chiamata cannabinoidi. Questa classe è composta da una vasta gamma di molecole che agiscono sui recettori dei cannabinoidi. THC e CBD sono fitocannabinoidi, ovvero molecole sintetizzate e prodotte dalle piante di cannabis. Ad oggi, ne sono state identificate oltre 100. Un altro tipo di cannabinoidi sono gli endocannabinoidi, creati invece all'interno del nostro corpo, tra cui troviamo l'anandamide e il 2-AG. Infine, troviamo i cannabinoidi sintetizzati in laboratorio, chiamati cannabinoidi sintetici. In quest'articolo la nostra attenzione sarà rivolta ai fitocannabinoidi. Molte di queste molecole sono state studiate dalla scienza ed hanno dimostrato un potenziale terapeutico impressionante. Prima di addentrarci sui singoli cannabinoidi, esaminiamo la funzione dei cannabinoidi e il modo in cui vengono creati. Notizia Collegata Cannabiciclolo: Capire le Basi dei Cannabinoidi

QUALI SONO LE FUNZIONI DEI CANNABINOIDI?
La risposta a questa domanda dipende fondamentalmente dalla forma di vita in questione. Le piante producono cannabinoidi come metaboliti secondari; non sono direttamente coinvolti nella crescita o nello sviluppo delle piante, ma si ritiene piuttosto che svolgano un ruolo protettivo contro parassiti, malattie e radiazioni ultraviolette. Ad esempio, il fitocannabinoide THCA ha dimostrato di spingere alla morte le cellule degli insetti, suggerendo che potrebbe fungere da meccanismo di difesa contro alcune specie che si alimentano dei fiori e delle foglie della cannabis.
Nell'uomo, questi cannabinoidi agiscono in un modo unico e specifico. Alcune di queste molecole interagiscono direttamente con il sistema endocannabinoide, una rete interna di siti recettoriali presenti su diversi tipi di cellule. Questi recettori, in particolare quelli CB1 e CB2, sono presenti in tutto il nostro sistema nervoso centrale e sistema immunitario. Alcuni cannabinoidi, come ad esempio il THC, producono effetti psicoattivi e terapeutici quando interagiscono con questi siti.
Il sistema endocannabinoide svolge un ruolo di regolazione all'interno del corpo ed aiuta l'organismo a mantenere uno stato di omeostasi (l'equilibrio dinamico e biologico di cui hanno bisogno i nostri corpi per funzionare in modo ottimale). È stato scoperto[1] che il sistema endocannabinoide svolge una funzione importante nella regolazione del sistema endocrino e nel metabolismo.
I suddetti endocannabinoidi anandamide e 2-AG agiscono come molecole di segnalazione che, interagendo con questi recettori, consentono al sistema endocannabinoide di esercitare queste funzioni. La somiglianza molecolare tra fitocannabinoidi ed endocannabinoidi è ciò che consente a queste controparti esterne di indurre effetti fisiologici.

Andrà a processo l'ideatore della cannabis light in Italia. "Così si rischia la fine di un intero settore"

L'ideatore della cannabis light in Italia è stato rinviato a giudizio per detenzione e spaccio di stupefacenti. Il processo, in caso di condanna, rischia di affossare lo sviluppo di un comparto, quello della cosiddetta marijuana legale, che dal 2017 ad oggi nello Stivale ha creato oltre 10mila posti di lavoro e centinaia di milioni di euro di introiti. Quattro anni fa, Luca Marola, parmigiano proprietario del Canapaio Ducale, ebbe l'intuizione di sfruttare la legge del 2016 relativa alla canapa: fra le righe di quel testo infatti non si parlava nello specifico dei fiori della pianta, così si aprì la possibilità di dar via a un mercato delle infiorescenze di cannabis con valori "legali", ovvero di Thc inferiore allo 0.2%. Marola lanciò Easyjoint e altri imprenditori lo seguirono: fu un boom. In pochi mesi la cannabis light, incentrata sulle proprietà del Cbd, metabolita con effetti rilassanti, esplose in tutta Italia tra aperture di negozi dedicati e vendita online. Ovunque in pochi mesi si moltiplicarono gli store e il mercato dei derivati della cannabis raggiunse picchi importanti, con alcune società canadesi disposte persino ad acquisire le società italiane per milioni di dollari. Due anni dopo però - in un contesto politico sia di tentativi di legalizzazione sia di demonizzazione di qualunque prodotto collegato alla cannabis - alcune Procure appellandosi al testo di legge, da tutti indicato come "poco chiaro" e incompleto, formularono accuse di spaccio nei confronti di chi commerciava la "light", equiparando di fatto la marijuana legale a droga. Fra queste anche la Procura di Parma che sequestra oltre 600 kg di erba legale a Easyjoint e costringe la società alla chiusura. Altre, per esempio in Sardegna e in Sicilia, si sono mosse in modo simile, sequestrando la merce o chiudendo le attività. Da allora resta un "vuoto" legato a questo settore che ha portato di fatto a "permessi" diversi a seconda di regioni o città: in alcune la cannabis light viene tutt'oggi commercializzata, in altre ostacolata dalle inchieste giudiziarie. A Parma, dopo quasi due anni di attesa tra lockdown e rinvii, Marola a fine settembre - proprio mentre in Italia tornava alla ribalta il tema legalizzazione visto il successo del referendum sulla cannabis - è stato rinviato a giudizio in un processo che inizierà il 15 luglio 2022. Marola, perchè questo processo rischia di mettere la parola fine alla cannabis light in Italia? "Innanzitutto è il primo di questo genere. Il procuratore di Parma ha dichiarato di fatto che con questa inchiesta vuole fare giurisprudenza relativamente alla normativa. Per chi lavora nel settore la norma attuale è contraddittoria e priva di elementi specifici, per la Procura invece la normativa equipara la cannabis light a stupefacente. Per questo se l'accusa dovesse vincere, di fatto potrebbe sancire la fine della cannabis legale così come la conosciamo, dato che viene equiparata per loro a droga ad uso ricreativo. Altri procuratori potrebbero seguire la scia: se pensiamo a una città come Milano, dove ci sono 300 negozi di light, è facile capire cosa significherebbe: vorrebbe dire la fine di un settore". Mentre altrove si continua a commercializzare, a lei è stata sequestrata la merce. Perché? "Sono arrivati a sequestrarmi oltre 640 kg di canapa, se l'avessimo venduta tutta si parla di due milioni di euro. Quindi abbiamo dovuto licenziare, svendere, fino a chiudere del tutto. Nonostante come hanno accertato i periti ci sono diversi lotti perfino con zero Thc, e altri comunque con limiti inferiori allo 0.2%, è stata di fatto secondo l'accusa equiparata a droga perché non è possibile la vendita del fiore secondo la visione della procura e venendo vista come sostanza ad uso ricreativo viene indicata come stupefacente. Ma non lo è". Dopo quattro anni dal boom della light ancora non c'è chiarezza a livello normativo. Come ne risente il settore? "La legge è scritta male, può essere interpretata in un modo e nel suo opposto. Così come la successiva sentenza di Cassazione. Così accade che alcune procure usano una linea repressiva, altre invece non hanno aperto alcun procedimento, oppure ci sono state indicazioni - come a Bologna - davanti all'oggettiva difficoltà sia dei controlli sia delle interpretazioni di legge, di non concentrare inchieste sulla cannabis light ma su quella illegale. Il quadro che ne esce è di un settore in difficoltà perché privo di certezze per potersi sviluppare, in attesa di capire cosa accadrà in termini di legalizzazione in futuro. E avviene che oggi in alcuni luoghi d'Italia è commercializzata e in altri non si può per via delle inchieste (come Oristano o Catania, ndr). Al di là del processo, serve quella chiarezza che chiediamo da tempo". Ha paura di essere condannato? "Ipoteticamente rischio più di sei anni, ma lo si capirà solo più avanti. Io da anni porto avanti queste battaglie, ma ero sicuro che al penale non ci si sarebbe mai arrivati. Vede, la fine della sentenza di Cassazione a sezioni unite dice che c'è rilevanza penale solo qualora l'effetto stupefacente venga riscontrato in concreto. Ma i valori della canapa che commerciavo, così come quella che oggi si trova nei vari negozi, sono sempre sotto a quelli stabiliti per poter parlare di stupefacente. Per cui a tutt'oggi questo processo mi sembra incomprensibile, impensabile, anche perché non riguarda più soltanto me ma un intero comparto fatto di migliaia di posti di lavoro che si potrebbero perdere".

Referendum cannabis, 1400 Comuni inadempienti: "Così si rischia il sabotaggio, intervenga il governo"

Un quarto dei certificati elettorali chiesti ai Comuni per validare le firme sul referendum per la cannabis non sono arrivati. "Così il referendum rischia il sabotaggio", spiega allarmato il comitato promotore che ha diffidato le 1400 amministrazioni inadempienti. Il referendum abrogativo per la cannabis infatti ha raccolto più di 500 mila firme digitali, tramite Spid. Queste firme vanno però "accoppiate" con i certificati elettorali per essere certi che siano valide, ovvero che chi ha firmato abbia diritto all'elettorato attivo e possa davvero recarsi alle urne. Per questo il Comitato - composto da Associazione Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone e dai partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani - ha inviato a tutti i Comuni italiani via Pec la richiesta di avere i certificati elettorali dei firmatari. Solo a quel punto sarà possibile depositare in Cassazione le firme. E la scadenza, per il referendum sulla cannabis, è fissata al 30 settembre. “Abbiamo ricevuto 37.500 Pec dai comuni con allegati 150.000 certificati. A venerdì sera, 1.400 amministrazioni comunali non hanno risposto del tutto. Altre non hanno rispettato le 48 ore previste dalla legge, ormai diventate 96, e hanno inviato in ritardo certificazioni d’iscrizione nelle liste elettorali delle oltre 580.000 firme raccolte online in modo parziale”, dichiara Marco Perduca, dell’Associazione Luca Coscioni e Presidente del Comitato promotore. Per questo è arrivata la diffida ai Comuni inadempienti che, considerato il weekend, a partire da lunedì avranno solo 3 giorni per inviare i Certificati. Non solo: "Data la situazione, tale da mettere a rischio l'intera raccolta firme, il Comitato referendario fa presente come, a fronte del permanente silenzio istituzionale e tenuto di conto delle inadempienze dei comuni, sarà costretto a mettere in mora anche il Ministero dell’Interno se non dovesse intervenire per sanare quanto in atto in queste ore". "Purtroppo - aggiungono Antonella Soldo, Riccardo Magi e Leonardo Fiorentini - sta avvenendo quello che temevamo. Alla disparità di trattamento di questo referendum rispetto agli altri che avranno tempo fino al 31 ottobre, si è aggiunta l'inadempienza di tanti comuni italiani. Di fatto siamo di fronte a un sabotaggio che può essere evitato solo con un intervento urgente del Governo".

Cannabis, tra referendum e testo alla Camera prosegue lo scontro

Se la possibilità di coltivare fino a quattro piantine di cannabis sul balcone senza essere denunciati arranca in Parlamento, procede invece apparentemente spedita la via della depenalizzazione tramite il referendum. Che si potrebbe tenere la prossima primavera. Lasciando intravvedere maggiore libertà per l’uso medico e ricreativo della marijuana ma anche incandescenti polemiche tra le forze politiche, con prevedibili tentativi parlamentari di cambiare la legge vigente per disinnescare la mina della consultazione popolare. Sullo sfondo, un conflitto che attraversa il Paese e implica concezioni divergenti su impatto per la salute, libertà, diritti, politiche giovanili e lotta alla criminalità. Ma anche lo sviluppo di un settore che cresce vertiginosamente nell’economia reale e, fra picchi e cadute, nelle borse di tutto il mondo. Mentre, in attesa di una regolamentazione definitiva, le cronache nostrane registrano quotidiane denunce su scala variabile, dalle coltivazioni domestiche scoperte mercoledì su un balcone a Bari, alle 327 piante sequestrate dai Carabinieri ieri in un capannone dismesso del Lucchese. Il referendum Anche se sono state già raggiunte le 500mila firme necessarie, a velocità record grazie alla novità della raccolta online, lo sforzo dei promotori non si ferma, in vista della presentazione delle firme in Cassazione che è stata prorogata dal governo a fine ottobre, a causa dei ritardi burocratici dei Comuni, fra le immancabili polemiche. Oggi a Roma, in piazza del Pantheon, +Europa lancia la sua campagna nazionale per le sottoscrizioni con la senatrice Emma Bonino, il segretario Benedetto Della Vedova e il deputato e presidente di +E, Riccardo Magi. Obiettivo dell’iniziativa arrivare almeno a 800mila firme e mobilitare il fronte pro cannabis. Che secondo alcuni recenti sondaggi sarebbe ampio e crescente. In base all’ultima rilevazione Swg, commissionata dal magazine BeLeaf e dalla campagna Meglio Legale - cioè da appartenenti al fronte pro liberalizzazione - il 58% degli italiani sarebbe infatti a favore della legalizzazione della cannabis. Che cosa prevede realmente il quesito Come sempre accade su temi così divisivi, c’è molta confusione nel dibattito anche online sul tema del referendum. Il quesito (riferito al Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, di cui al d.P.R. 309/1990) si propone di depenalizzare la coltivazione di qualsiasi sostanza e di eliminare la pena detentiva per qualsiasi condotta illecita relativa alla Cannabis, con eccezione della associazione finalizzata al traffico illecito. Non sono depenalizzate detenzione, produzione e fabbricazione di tutte le sostanze che possono essere applicate per le condotte diverse dall'uso personale. Sul piano amministrativo il quesito propone una distinzione piuttosto critica: eliminare la sanzione della sospensione della patente di guida e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori attualmente destinata a tutte le condotte finalizzate all'uso personale di qualsiasi sostanza stupefacente o psicotropa, ma mantenere la sanzione per chi guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti . La proposta di legge alla Camera L’8 settembre la commissione Giustizia della Camera ha faticosamente approvato un testo base (a partire dalle 14 proposte diverse depositate in Parlamento nell’aprile scorso) sulla cannabis ma la maggioranza si è subito spaccata. Il testo permetterebbe la coltivazione in casa di non oltre quattro piante di cannabis “femmine” (cioè più ricche di principi attivi, ndr) ad uso personale, facendo leva sulla diminuzione delle pene per i fatti di lieve entità (articolo 73, comma 5 del Testo unico stupefacenti) con la differenzazione fra le sostanze, e la cancellazione delle sanzioni amministrative per le persone che usano queste sostanze. Lo scontro fra i partiti e la spinta anti referendum Alla soddisfazione del M5S - che con il relatore Mario Perantoni ha parlato di risultato importante in scia con la giurisprudenza della Cassazione, sintesi ragionevole tra le diverse proposte e importante aiuto a chi fa uso medico di cannabis - ha fatto subito riscontro il muro del centrodestra. Sulla cannabis, infatti, l’8 settembre ha segnato tutt’altro che un armistizio per la maggioranza: hanno votato contro la Lega (il testo «è preludio alla legalizzazione»), Coraggio Italia e Forza Italia, Italia viva si è astenuta. A favore gli altri, dal radicale Magi al M5s, da Pd a Leu. Radicalmente contraria, ovviamente, anche l’opposizione di Fdi. (Rampelli: «La maggioranza spaccia canne casalinghe all'Italia in crisi economica e sanitaria»). Ora bisogna attendere il deposito degli emendamenti in commissione, il cui termine è stato spostato al 20 ottobre. Ma la via si preannuncia a dir poco accidentata. E in Parlamento si rincorrono le voci su un possibile tentativo, da parte del fronte anti-cannabis, di modificare la legge per disinnescare la mina referendum. «Sulla base dell’esperienza non fatico a credere - replica Riccardo Magi, impegnato oggi nella raccolta delle firme a Roma - che da parte del Centro-destra ci possa essere il tentativo di ribaltare la situazione, ma ricordo che, per fermare il referendum, la modifica legislativa deve andare nella direzione indicata dai promotori». 1 Cosa ne pensano gli italiani Dal sondaggio Swg diffuso questa settimana dal Comitato Referendum Cannabis, oltre a una maggioranza favorevole del 58%, emerge la loro appartenenza principalmente alle fasce d'età tra i 18-34 anni e 35-44 anni, entrambe al 66%. Quanto alle fedi politiche, dicono sì alla legalizzazione il 74% degli elettori del Pd e l’81% di chi vota 5Stelle ma anche 4 elettori su 10 di Lega e Fdi. Il 56% degli intervistati si è detto inoltre contrario alla norma in vigore che punisce fino a 6 anni di reclusione chi coltiva cannabis anche se per uso personale. In un sondaggio Eurispes del luglio 2020, solo il 47,8% dei cittadini si diceva d’accordo con la legalizzazione. Cannabis tra economia illegale e legale Secondo l’ultima relazione annuale del governo al Parlamento (dati Istat 2020) le attività economiche connesse al mercato delle sostanze psicoattive illegali sono stimate intorno ai 16,2 miliardi di euro, di cui il 39% (quindi circa 6,3 miliardi) attribuibile al consumo dei derivati della cannabis. Va detto che questa è una stima, perché gran parte del mercato resta nascosta alle forze dell'ordine e quindi il valore potrebbe essere molto più grande. Per quanto riguarda invece il business legale della cannabis con contenuto basso di principio attivo Thc, per il solo uso medico, in tutta Europa è stimata in crescita dagli attuali 403.4 milioni a 3,2 miliardi nel 2025, con una crescita percentuale media annua del 67.4% (secondo il think tank specializzato londinese Prohibition Partners). Sul valore finale del mercato italiano, considerando invece tutti i possibili usi e l’indotto, le stime oscillano tra i 7,3 e i 30 miliardi potenziali nel giro dei prossimi dieci anni. Le liberalizzazioni negli altri paesi In Europa e nel mondo, il biennio 2020-21 ha visto avanzare le politiche di liberalizzazione, a partire dagli Usa. Nel 2020 diversi stati Usa hanno approvato misure di legalizzazione. In europa la Corte di giustizia ha sancito che il Cbd (cannabidiolo, altro principio attivo della cannabis, diverso dal Thc, con proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche ma non psicotrope) non va considerato sostanza stupefacente per la legge europea. Anche le Nazioni hanno rimosso la cannabis dall’elenco IV della Single Convention on Narcotic Drugs. A fine settembre 2021 ha fatto passi avanti al Congresso americano il progetto di legge MORE, che depenalizzerebbe la canapa a livello federale, con un forte impatto sulle aziende del settore qotate in borsa come Jazz Pharmaceuticals, basata in Irlanda ma quotata al Nasdaq, protagonista a febbraio della più grande acquisizione nell’industria della cannabis, quella della britannica GW Pharmaceuticals, per poco meno di 6 miliardi di euro. In Europa, invece, comprensibilmente il Covid ha ritardato le riforme previste in Francia e in Germania.

Cannabinoidi

Cannabinoidi: quali sono, cosa sono e quali gli effetti? I cannabinoidi sono elementi chimici contenuti nella pianta di cannabis che interagiscono in modi differenti con il cervello umano. Se il principio del THC è responsabile dei classici effetti euforizzanti della cannabis, altri principi attivi come il CDB sono terapeutici e non provocano alterazioni psicofisiche. Il CDB (o cannabidiolo) interagisce con l’organismo provocando sensazioni benefiche, come il miglioramento della digestione, la distensione muscolare ed è utile per combattere lo stress e l’insonnia. Inoltre il cannabidiolo rafforza il sistema immunitario e agisce con effetto antinfiammatorio e analgesico. In commercio esistono molti prodotti a base di CBD e sono legali nella maggior parte dei Paesi europei. L’attuale normativa italiana, infatti, permette la coltivazione della canapa sativa e la vendita di prodotti cannabinoidi (come l’olio di CBD) estratti dalla pianta, a condizione che la percentuale di THC sia inferiore allo 0,5%. Vai allo shop Cosa sono i cannabinoidi? I cannabinoidi sono dei composti contenuti all’interno dei fiori della pianta di cannabis. Si tratta di sostanze di varia natura che interagiscono con i recettori dei cannabinoidi (CB1 e CB2) presenti nell’encefalo umano, mimando gli effetti di sostanze normalmente prodotte dall’organismo (endocannabinoidi). Quando vengono stimolati tramite l’assunzione di cannabinoidi, i recettori determinano i classici effetti euforizzanti della marijuana, dovuti all’azione del THC (il principio psicotropo dei cannabinoidi), ma al contempo stimolano anche degli effetti terapeutici dovuti proprio al CBD (come il rilassamento muscolare, l’azione antinfiammatoria e la stimolazione dell’appetito). Gli elementi dei cannabinoidi: THC, CBD, CBN, CBG,THCV Tra gli elementi che fanno parte dei cannabinoidi troviamo: Il THC o tetraidrocannabinolo: la sostanza inebriante della canapa che determina i classici effetti associabili all’assunzione di marijuana (euforia, aumento dell’appetito, rilassatezza, ecc…). In molti paesi è una sostanza illegale, mentre in altri i prodotti a base di THC vengono usati per alleviare alcuni effetti collaterali dovuti al trattamento di talune forme di cancro e altre malattie. In tali casi la vendita avviene solo sotto prescrizione medica. Il CBD o cannabidiolo: i suoi effetti analgesici e antinfiammatori lo rendono molto utilizzato nell’industria farmacologica. É un componente non psicoattivo della cannabis ed è legale in molti paesi, tra cui l’Italia. Il CBC o cannabichromas (cannabicromene), rafforza la componente terapeutica del CBD, senza avere l’effetto rilassante. Alcune fonti mediche ne riportano un effetto antinfiammatorio. Il CBN o cannabinolo, viene prodotto dall’ossidazione del THC ma pare non avere effetti psicotropi. Si trova in grandi quantità nella cannabis essiccata. Sembra non esistere una normativa specifica rispetto al CBN, ma essendo analogo al THC potrebbero essere applicate le medesime restrizioni normative. Il CBG o cannabigerolo, non è una sostanza psicoattiva e, come il CBD, ha un forte effetto antidolorifico, viene usato nella cura di psoriasi, eczemi e infezioni della pelle. Il THCV o tetraidrocannabivarina, ha un effetto psicoattivo minore del THC, gli vengono riconosciuti effetti stimolanti sul metabolismo e per questo sembrerebbe essere d’aiuto in caso di sovrappeso.

Uno studio del 2008 attesta come i cinque principali cannabioidi presenti nella Marijuana (cit. “Canapa Sativa”), CBD, CBC, CBG, THC e CBN, abbiano effetti antibatterici (“hanno mostrato una potente attività contro una varietà di Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA)”.
Gli effetti dei cannabinoidi
Dal momento che i cannabinoidi sono di diversa natura, anche gli effetti degli stessi sul corpo umano variano notevolmente. Alcuni elementi, come abbiamo visto, provocano effetti puramente terapeutici, altri invece comportano alterazioni psicofisiche.
Tra gli effetti psicoattivi dei cannabinoidi vengono riportati:
Euforia;
Risate incontrollate;
Alterazioni della nozione del tempo;
Sensazione di rilassamento;
Sonno innaturale;
Alterazioni del suono e dei colori.

A dosi molto elevate, l’assunzione di cannabinoidi può provocare ansia, depressione e paranoia. Mentre il consumo prolungato nel tempo può determinare una diminuzione della memoria e dei tempi di reazione del corpo.
Tuttavia, visti i numerosi effetti terapeutici dei cannabinoidi, in molti paesi la cannabis viene utilizzata per preparazioni per uso medico. Le infiorescenze della pianta di canapa, dove sono maggiormente presenti tali principi attivi, vengono essiccate e macinate e utilizzate sotto forma di decotto o assunte tramite un vaporizzatore.
Tra gli utilizzi della cannabis per uso medico vengono riportati:
il trattamento del dolore, viste le proprietà antidolorifiche;
l’utilizzo in qualità di antinausea e antivomito, per alleviare gli effetti collaterali della radio e della chemioterapia;
la stimolazione dell’appetito in soggetti affetti da AIDS o da anoressia;
azione antispasmodica per malattie come il Parkinson e l’epilessia.

Durata degli effetti della cannabis
Per quanto riguarda la durata degli effetti della cannabis questa dipende in larga parte dal metodo di assunzione, dall’esperienza del consumatore e dalla quantità di principio attivo contenuto nel prodotto.
L’inalazione di cannabinoidi, sia in forma di fumo che tramite vaporizzazione, provoca degli effetti immediati, che raggiungono il picco dopo circa mezz’ora e svaniscono in un paio di ore. Nei consumatori più assidui però il tempo di permanenza degli effetti è più breve rispetto a chi consuma cannabis per la prima volta.
Diversa è la situazione nel caso si decida di assumere cannabis attraverso il consumo di prodotti commestibili. In questo caso gli effetti psicoattivi cominceranno ad arrivare insieme alla digestione dopo 1-2 ore, ma avranno una durata che può arrivare fino a 6 ore.
Anche la concentrazione di principi psicoattivi presenti nel prodotto determina il tipo e la durata degli effetti della cannabis. In generale, tutte le tipologie di cannabis con una concentrazione di THC sopra il 20% (illegali in Italia) sono considerate potenti e hanno effetti più marcati e una durata di questi superiore alla media.
Per evitare possibili effetti collaterali non graditi (come ansia, paranoie o effetti allucinogeni) è consigliabile consumare solo prodotti legali (con contenuti di THC sotto lo 0,5%), possibilmente solo dopo essersi affidati al parere di un medico, in modo da poter usufruire delle componenti benefiche del CBD senza incorrere in alcun tipo di rischio.
Le informazioni riportate hanno un fine illustrativo, sono tratte da fonti esterne e non costituiscono in alcun modo un consiglio medico.

Marijuana - MedicinePlus

What is marijuana? Marijuana is a green, brown, or gray mix of dried, crumbled parts from the marijuana plant. The plant contains chemicals which act on your brain and can change your mood or consciousness. How do people use marijuana? There are many different ways that people use marijuana, including: Rolling it up and smoking it like a cigarette or cigar Smoking it in a pipe Mixing it in food and eating it Brewing it as a tea Smoking oils from the plant ("dabbing") Using electronic vaporizers ("vaping") What are the effects of marijuana? Marijuana can cause both short-term and long-term effects. Short term: While you are high, you may experience: Altered senses, such as seeing brighter colors Altered sense of time, such as minutes seeming like hours Changes in mood Problems with body movement Trouble with thinking, problem-solving, and memory Increased appetite Long term: In the long term, marijuana can cause health problems, such as: Problems with brain development. People who started using marijuana as teenagers may have trouble with thinking, memory, and learning. Coughing and breathing problems, if you smoke marijuana frequently Problems with child development during and after pregnancy, if a woman smokes marijuana while pregnant Can you overdose on marijuana? It is possible to overdose on marijuana, if you take a very high dose. Symptoms of an overdose include anxiety, panic, and a rapid heartbeat. In rare cases, an overdose can cause paranoia and hallucinations. There are no reports of people dying from using just marijuana. Is marijuana addictive? After using marijuana for a while, it is possible to get addicted to it. You are more likely to become addicted if you use marijuana every day or you started using it when you were a teenager. If you are addicted, you will have a strong need to take the drug. You may also need to smoke more and more of it to get the same high. When you try to quit, you may have mild withdrawal symptoms such as: Irritability Trouble sleeping Decreased appetite Anxiety Cravings What is medical marijuana? The marijuana plant has chemicals that can help with some health problems. More states are making it legal to use the plant as medicine for certain medical conditions. But there isn't enough research to show that the whole plant works to treat or cure these conditions. The U.S. Food and Drug Administration (FDA) has not approved the marijuana plant as a medicine. Marijuana is still illegal at the national level. However, there have been scientific studies of cannabinoids, the chemicals in marijuana. The two main cannabinoids that are of medical interest are THC and CBD. The FDA has approved two drugs that contain THC. These drugs treat nausea caused by chemotherapy and increase appetite in patients who have severe weight loss from AIDS. There is also a liquid drug that contains CBD. It treats two forms of severe childhood epilepsy. Scientists are doing more research with marijuana and its ingredients to treat many diseases and conditions.

The worst side effect of a joint is law enforcement

"The worst side effect of a joint is law enforcement." Juvenile judge Andreas Müller has argued in favour of cannabis legalisation for years, and now wants the opinion of Germany's top court. , 23.1.2021 - 06:02 Uhr Artikel anhören As passionate about getting the youth to stop committing crimes as legalising weed.  Illustration: Enya Mommsen As passionate about getting the youth to stop committing crimes as legalising weed. Berlin - Andreas Müller is considered one of Germany's strictest juvenile court judges. He's notorious for not shying away from tough punishments for juvenile criminals. But the 59-year-old also vehemently supports the legalisation of cannabis and recently asked the country's top court to review Germany's ban on the drug. Everyone has a right to buy and smoke cannabis without fear of charges, he says. To Müller, millions of cannabis consumers have been unjustly criminalised in Germany. Mr. Müller, have you ever smoked weed? Of course. When did you smoke a joint for the first time? When I was 18 years old. And you just admit that, even though you're a judge? I assume that most judges and public prosecutors in Germany have smoked pot in their youth. They just don't dare to admit it. By the way, I think that every judge should have smoked pot at some point. Why is that? So that they know how cannabis works and have their eyes opened about those who end up before them for cannabis offences. What do you mean by 'eye opening'? Cannabis users are unfairly criminalised and stigmatised in this country. And it's not right. It's destroying entire families. This has to finally stop. Everyone should be free to choose their narcotic. That is why you have asked the German Constitutional Court to review the ban on cannabis. That's right. As a judge, I not only have the right but also the duty under Article 100 of the [German] constitution to have laws reviewed if I reach the conclusion that they are unconstitutional. Why is the prohibition of cannabis unconstitutional? Because it violates the general right of personality, the right of freedom, the principle of equality and the principle of proportionality. It is shooting with cannons at sparrows. You've already attempted to overturn the ban on cannabis with this strategy. That was almost 20 years ago. You were unsuccessful. A lot has changed since then. Science has moved on. The majority of parties are in favour of legalising cannabis. And professors are teaching their students that cannabis prohibition is unconstitutional. Half of Germans are against a ban. And worldwide, consumption is allowed in more and more countries. Only Germany is blocking this progress. Is that so surprising? After all, cannabis has an addictive element. But it is extraordinarily low. Still, there are people who end up in hospital because of it. There's about 3,500 users per year whose main diagnosis is cannabis. With an estimated 4 million users in Germany, that's 0.1 per cent, which is negligible. Of course, there are also problematic users of every drug. Just two glasses of wine a day make a wine lover a problem drinker. Photo: imago images/Reiner Zensen Andreas Müller is a juvenile court judge in Bernau near Berlin. The 59-year-old has a reputation as Germany's toughest youth judge. He has handed down unusual sentences to right-wing radicals and violent young offenders. But in drug policy he prefers tolerance and education. Müller was a longtime friend and colleague of Berlin juvenile court judge Kirsten Heisig, who died in 2010 and initiated the Neukölln Model for the effective prosecution of juvenile offenders. He is a native of Meppen in Lower Saxony, which is close to the border with the Netherlands. He has two adult daughters. And what about the health risks associated with smoking pot? The damage caused by cannabis is very low. The World Health Organization just recently recognised cannabis as a medicine and also downgraded it. It's now classified as a slightly dangerous substance, far behind harder drugs and alcohol. But still. Chocolate, if you will, is also marginally dangerous. Cannabis is also permitted as a medicine in Germany. Only in the last four years. But it took a long time to get it approved. In the end, it was the Federal Administrative Court that decided, not the politicians. They did nothing for decades, forcing AIDS patients and other sick people to the black market. But isn't cannabis always mentioned as a gateway drug? When I hear something like that, I get pustules. No scientist anywhere supports this thesis anymore. Anyone who says this in the Bundestag does it maliciously or for purely ideological reasons. It just dumbs people down. And what about side effects? The worst side effect of a joint is law enforcement. I have not yet seen any acts of aggression based on cannabis. In your submission to the constitutional court, you talk about alcohol, a legal drug, being much more harmful to health than illegal cannabis. That is demonstrable. The figures speak for themselves: in Germany, around 70,000 people die every year as a result of problematic alcohol consumption. Not a single person worldwide has died from cannabis. An addicted stoner can live to be 100 years old. In this country, everyone is allowed to drink themselves to death, but no one is allowed to get cannabis to smoke. There's something wrong with that. And if alcohol were abolished and all drinkers were instead told, 'you smoke pot now', we could save a lot of people and prevent crime. Why would there be fewer crimes? As a judge, I can see it: alcohol makes the aggressive even more violent. People fight until they can't take it anymore. About every third act of violence is related to alcohol. Smoking pot reduces aggression. I have not yet seen any acts of violence based on cannabis. You call for a free choice of addictive substance. Wouldn't it be better to ban all intoxicants? That doesn't work, as shown by alcohol prohibition in America. Illegal markets would emerge. And no one knows what's in the alcohol. I don't want the legislature to ban beer and wine and only allow non-alcoholic beer to be served at Oktoberfest. But I would like people who fill up there to accept that there are also people who prefer to get drunk on other intoxicating substances. What do I face if I am caught with a joint in my pocket? An investigation will be launched against you. You will be questioned as a suspect, will most likely end up on the narcotics register and, if you are unlucky, you will first be arrested and treated like a felon. Many of the cases are later dropped, but it varies from state to state. I know of cases where people in Bavaria were convicted for 0.1 grams. And what's it like in Berlin and Brandenburg? If you are caught with up to 10 or even 15 grams in Berlin, the case is usually dropped. But Brandenburg is different. Here, the limit is six grams. And as a repeat offender, the accused is guaranteed to end up in court. That means that if convicted, they would have a criminal record. That's how it is. For young people who want to study, then maybe train young people, it's devastating for another reason: they're not allowed to teach for five years. And if you conceal that from your employer, that's grounds for dismissal. So that's tantamount to a professional ban for possessing and handling cannabis. That's absurd. But cannabis is allowed for personal use. That's a fairy tale. Possession of cannabis is not free. If you are caught with only a minimal amount, you will already be under investigation. This sounds like a lot of work for police and the justice system. It's mostly nonsensical work that more and more police officers, as well as judges and prosecutors, don't want to do. In 2019, there were more than 180,000 preliminary proceedings against cannabis users nationwide, for example because police officers found a joint or observed a user buying a gram of cannabis. These cleared crimes are good for statistics, but nothing more. Police officers spend millions of hours tracking down cannabis users. And for child pornography or other real crimes, investigators often take years to bring the case to court. So a lot of resources are wasted that are then not available to solve serious crimes? Of course. These resources should be used wisely. But shouldn't children and young people be protected from drugs, including cannabis? Absolutely. But you can't ban millions of people from smoking cannabis just because young people are at risk. I'm not saying that young people should smoke pot. They do it despite the ban. There of course has to be a red line on legalisation. For example, cannabis should only be given to those over 18. We need to protect youth and keep an eye on the kids who smoke too much pot. And of course, adults who supply cannabis to 14-year-olds should face criminal charges. Wouldn't legalisation harm efforts to protect minors? I've been a juvenile court judge for 25 years. And if anyone knows anything about it, it's me. We don't have a system to protect the youth. Kids smoke pot in spite of the existing laws, walk around and buy pot that has been cut with other adulterants. That would happen less often if we regulated the use of cannabis. We would also be able to reach young people much earlier. Parents could get sensible information and even, as I urge, call the juvenile court judge. They could ask him to take a look at their son and assess whether he really has a problem with smoking pot or whether it's just society that has a problem with him. That's how Portugal does it, for example. Other countries are much further along with legalisation than Germany. Several states in the US have already legalised cannabis. There is now even a vice president who has been a staunch advocate of cannabis legalisation for years. The House of Representatives approved it a few weeks ago. The first states are starting to rehabilitate. California, for example, is eliminating cannabis-related criminal convictions. There are more and more states that allow cannabis. And Germany continues to act as if nothing were wrong. But the reality here is different: people smoke pot on every corner. Businessmen smoke a joint just as much as civil servants. Half the student body smokes pot. These are the leaders of tomorrow. Two problems, one stone On the other hand, cannabis isn't just illegal in Germany. That's true, there's still a lot to do internationally. The war on drugs has failed worldwide, costing millions of victims - and there are new ones every day. Let's say cannabis use is allowed here. Won't even more people roll themselves a joint? First, it wouldn't be bad, and second, it won't happen. Whether cannabis is punishable or not is completely irrelevant to its acceptance, according to scientific findings. But you can solve a lot of problems if cannabis is legalised. What problems do you mean? Just think of Görlitzer Park and how often the police march through there to catch dealers. It would be very easy to make the park harmless and attractive for walkers again. How? By opening official cannabis stores in the neighbourhood. The market in Görli would collapse and there would be no more adulterated weed. Surely some dealers who stay in the park would sell hard drugs. But the police would then also have justification to move against them. And the whole thing would also save about €4 billion a year, which is the public cost of prohibition. They could use that to easily rebuild the cultural scene that was destroyed by Corona. And everyone would then be allowed to set up a plantation? Of course not. The cannabis control law introduced by the Greens in the Bundestag stipulates that each person may have three plants for personal use. I think that's sensible, and it would also relieve the burden on health insurers, who already spend an estimated €100 million each year on cannabis as medicine. And what about driving? Anyone who drives stoned should have their driver's licence revoked. I would take that away, too. Unfortunately, there are people in the German stoner community who think they can get behind the wheel stoned. Driving under the influence of cannabis is the same as driving under the influence of alcohol. It has to be fair, but currently it isn't. Why not? If someone drank on Saturday and admits it during a traffic stop on Monday, nothing happens. But if I tell the officer that I sat in front of the TV and smoked pot on Saturday night, and that I occasionally like to do that, then my driving licence is gone. The public prosecutor's office in Frankfurt (Oder) recently filed a case against you because of a conflict of interest. Why is that? She says it's not because I have suspended cannabis cases until the constitutional court has made its ruling, but because I have publicly advocated in favour of legalisation for years, through interviews and as an author. She also believes that my history could influence me. But nobody is accusing me of official misconduct. Prosecutors have never appealed one of my cannabis rulings over all these years. And what happened to their motion to recuse? It was rejected only a few days ago by the initial court, because judges are also afforded the freedom of opinion. But if the prosecutor's office appeals and the motion goes through, those who publicly speak in favour of legalisation will logically never be allowed to rule as judges in cannabis cases. At least, that's how the prosecutor's office sees it. Görlitzer Park in April. Photo: Eric Richard Görlitzer Park in April. Do you have an example? Brandenburg CDU state parliamentarian Julian Brüning, for example. He is chairman of the Junge Union [association of young CDU members] in Brandenburg and recently called for the legalisation of cannabis - in other words, controlled cultivation and controlled dispensation in coffee shops like in the Netherlands. That would create jobs. Should he study the law, he would have a problem. Are you satisfied that the conflict of interest motion was rejected? Of course, as long as the ruling stands. Judges must be allowed to speak their minds. They shouldn't be forbidden from speaking out when it comes to questioning the meaning of laws. We are there to have laws reviewed as well. When are you actually expecting a decision from the constitutional court? It's hard to say. The last time it took almost a year and a half. Are your colleagues supportive? Lots of my colleagues are now in favour of legalising cannabis. And many prosecutors also tell me that they think prohibition is pointless. There are more and more police officers who no longer want to prosecute cannabis users. Why have you actually been fighting so vehemently for the legalisation of cannabis for years? Because millions of people are being unjustly criminalised. And my own family history also plays a role. What does your family have to do with it? My father drank himself to death when I was 11. And my brother was the victim of a misguided drug policy. What happened? My brother smuggled large quantities of cannabis from the Netherlands across the border. He got four years in jail as a youngster in the 1970s. Fifteen kilometers further, in Holland, he would only have been given community service for that. Jail broke my brother and threw him off track. Two weeks after the death of my alcoholic father, when I was in the fifth grade, my geography teacher slapped me in the face and told me that I was the brother of the town's famous stoner. From then on, I knew what stigmatisation meant: guilt by association. That shaped my life and my actions. You became a judge, what happened to your brother? My brother became addicted to heroin at the age of 30, but not because he had smoked pot before. The jail they put him in at a young age messed him up psychologically. He was in the methadone program for a long time. He died 7 years ago at 57. You have children of your own. What freedom do you give them? My daughters are 22 and 30 years old. And if they want to smoke pot, they should be allowed to smoke pot and not be criminalised. I also want to be allowed to smoke pot. I am a grown man, I work a lot, I pay taxes and I am an upstanding citizen. The state shouldn't tell me what drugs I can take. Whether I drink a bottle of wine with my wife in the evening or smoke cannabis is entirely my own, constitutionally protected business.

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